La Stampa, 18 ottobre 2019
Quella notte selvaggia del Milan alla Bombonera
Cinquant’anni fa a Buenos Aires, la notte della vergogna e della leggenda. La vergogna degli argentini dell’Estudiantes, drogati come cavalli e violenti come mai si era, si è visto in diretta tv su di un campo di calcio; la leggenda di un Milan che ne uscì con prognosi più o meno riservate ma con la sua prima Coppa Intercontinentale. Era il 22 di ottobre, due settimane prima a San Siro il 3-0 rossonero sembrava aver chiuso i conti: peccato che i sudamericani coltivassero un’idea oscena su come riaprirli. Cominciò con la scelta della Bombonera, il cui cocktail di benvenuto furono getti di caffè bollente, continuò con entrate da codice penale e cazzotti di ogni sorta, preferibilmente agli avversari a terra, si concluse con una squalifica di 20 giornate a Manera, di 30 ad Aguirre Suarez e a vita al portiere Poletti. Comminate dalla federazione argentina, ma ispirate direttamente dal presidente della repubblica perché l’eurovisione tutto o quasi tutto aveva immortalato: poi parzialmente e ovviamente condonate.
Se parliamo di calcio, segnò per primo Rivera. Che intercettò un pallone a metà campo, lo appoggiò a Combin scattando profondo, riavendolo in piena corsa nonostante l’entrata omicida sul centravanti, dribblò in uscita il portiere-delinquente, tenendosi bello largo, e poi appoggiò in porta con tutta calma mentre la muta di inseguitori rinveniva invano. A proposito di abatini. Poi rimontarono Conigliaro e Aguirre Suarez, ma non andarono oltre un po’ perché di fronte c’era pur sempre la famosa Maginot del Paròn, e un po’ perché in un soprassalto di tardiva, molto tardiva dignità, l’arbitro cileno si decise a cacciarne un paio.
Punture d’ago e fratture
Se parliamo invece di tutto il resto non c’è che l’imbarazzo della scelta. Pierino Prati steso da un fallaccio, al quarto d’ora, assistito da medico e massaggiatore, e ri-colpito mentre si sta rialzando da un calcio alla schiena del portiere, in libera uscita ben oltre il limite dell’area. Il dottor Monti scalciato a sua volta, di punta, alla schiena mentre sta provando a rimettere in sesto Rivera. Rocco che si sgola con Maldera troppo lontano dall’avversario, staghe visìn, staghe visìn, e lo sventurato che replica ma quello mi punge, perché effettivamente impugnava un lungo ago e sapeva come usarlo. E poi il cazzotto a freddo a Combin con frattura del setto nasale. Era lui, Nestor Combin, argentino di nascita poi naturalizzato francese, il vero obiettivo di quella banda di energumeni di cui faceva parte, a pieno titolo, anche Bilardo, futuro ct argentino campione del mondo a Mexico ’86 grazie alle magìe di Maradona. E proprio a Combin provvide il comitato di accoglienza, prima, durante e dopo. Prima con gli insulti più feroci fin dallo sbarco. Durante, in campo, con una serie di entrate a rompere cui riuscì per miracolo a scampare fino al pugno del kappao. Infine nel dopopartita, quando a dispetto di una faccia che più sfasciata non si poteva fu arrestato in spogliatoio come renitente alla leva. Lo portarono via i poliziotti, caricandolo su una sorta di volante. E il primo ad accorgersene fu uno storico tifoso milanista, a nome Barbaini, commerciante di riso e habituè del covo rossonero dell’Assassino, che invano provò ad aggrapparsi all’auto che sgommava. Si prese anche qualche manganellata: ma almeno lanciò l’allarme raccolto dal presidente Carraro e dall’avvocato Sordillo i quali subito annunciarono che il Milan senza Combin non sarebbe rientrato in Italia. Saltò fuori un documento attestante che il servizio militare Combin lo aveva svolto in Francia. E dopo qualche ora l’ambasciatore italiano in persona accompagnò il centravanti alla scaletta dell’aereo. Combin riapparve in pubblico qualche giorno più tardi, con naso e zigomo da far paura, alla messa cantata della Domenica Sportiva. La conduceva Enzo Tortora, e anche da qui si capisce come passa il tempo, che con tono di circostanza gli disse: «Tutto a posto col militare. Ma lei non risulta in regola con il canone di abbonamento».