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 2019  ottobre 18 Venerdì calendario

Storia della banda del Bas e della bombe in Alto Adige

Gli eroi, a pochi chilometri dalla vetta d’Italia, il punto più a Nord dello Stivale, parlavano tedesco e mettevano le bombe. Era il 1964 e i "quattro bravi ragazzi della Valle Aurina" dalle minacce erano passati all’azione armata. «Certo, dovevamo ben difenderci dall’oppressione italiana. Volevano schiacciarci. Ridurci a una minoranza. Io mi aspetto un grazie per mio fratello! Altro che terrorista, è un liberatore che ha portato l’autonomia al nostro popolo». 
Frasi brevi, sguardo fisso. Un tedesco dolce come una cantilena, impastato di dialetto. Albert Oberleiter sta seduto al ristorante Almdiele di Lutago in Alto Adige, ramo di valli e cime magnifiche che entrano dentro l’Austria, ogni momento arriva una cameriera a salutarlo e a chiedere se va tutto bene. E’ famoso, lui, per via di suo fratello. Quasi come Andreas Hofer, il paladino dell’insorgenza tirolese contro i francesi, il cui quadro campeggia all’ingresso del locale. Fuori, il sole illumina le ottantatré vette e i boschi di abeti di un verde abbacinante. In questo angolo di Alto Adige che ancora oggi parla tedesco, si lamenta perché i medici a Bolzano conoscono solo l’italiano e coltiva il sogno secessionista, sono cresciuti alcuni dei più attivi "combattenti" del Bas, il Comitato per la liberazione del Sudtirolo, che negli Anni 60 rivendicava col tritolo l’appartenenza alla terra austriaca: Heinrich Oberleiter, Siegfried Steger, Sepp Forer e Heinrich Oberlechner. Di questi, sono l’ultimo è deceduto. Sono stati condannati all’ergastolo, Oberleiter ne ha presi due. Ma nessuno ha mai fatto un giorno di carcere. Sono tutti scappati in Austria e Germania, accusati di una serie di attentati cominciati con gli ordigni ai tralicci dell’alta tensione, fino alla morte di Vittorio Tiralongo, carabiniere di 20 anni che prestava servizio a Selva dei Molini, ammazzato in un agguato all’imbrunire del 3 settembre 1964. Poi, fino al ’67, ci sono stati gli attacchi a Brunico, nei punti di ritrovo degli italiani in valle, e la strage di Cima Vallona. 
La latitanza
Per il fratello di Heinrich Oberleiter la Storia è un’altra: «Grazie a questa battaglia contro gli oppressori italiani, Roma ha finalmente accelerato i colloqui per concedere l’autonomia alla nostra terra». Lui si sente "tirolese" e tifa Bayern Monaco. Proprio in Baviera, a Schweinfurt, vive Heinrich. Per lui, a settembre il presidente della regione Tirolo Günther Platter e il consiglio provinciale di Bolzano hanno chiesto la grazia al presidente della Repubblica Mattarella. «Non si tratta di soddisfare tre vecchietti quasi ottantenni, ma di un segno di riconciliazione tra Stati», ha detto Platter. Per Albert Oberleiter «la pena di mio fratello è già stata scontata lontano dall’Heimat, la patria». Racconta della sofferenza per un abitante di queste zone ridenti di non poter morire a casa. 
Mai pentiti
Ma il terrorista non si è mai pentito. A Lutago sono ancora in molti a difenderlo. «Non volevano ammazzare, solo colpire infrastrutture italiane per farsi ascoltare», spiega Sven Knoll, consigliere dei Südtiroler Freiheit tra i firmatari della domanda di grazia, che il presidente della provincia Arno Kompatscher vuole discutere, ma tra un mese, perché «sarebbero previsti contatti tra Mattarella e il presidente austriaco Van der Bellen». Eccola qui, la valle in cui i venti secessionisti non si sono spenti. Anzi hanno cominciato a soffiare di nuovo, con la recente abolizione del termine Alto Adige in una legge, e con la speranza che Vienna conceda presto il doppio passaporto. «Qui si convive - dice una bibliotecaria di Brunico, che vuole rimanere anonima - perché le persone intelligenti ci sono, ma se si accendono gli odi non ci va niente a fare un’altra Bosnia». Lei se la ricorda la stagione delle bombe. 
Eva Klotz e la secessione
A soffiare sul fuoco è tornata anche Eva Klotz, figlia di un altro terrorista, che tuona: «Il nostro movimento non deve perdere d’occhio l’autodeterminazione per un futuro senza Italia». Slogan che fanno infuriare la destra italiana locale, con il consigliere di Alto Adige nel Cuore-Fratelli d’Italia, Alessandro Urzì, che chiede targhe per le vittime delle stragi degli Anni 60 e la condanna di quegli atti: «Da un lato gioiamo per l’estradizione di Battisti, dall’altro vogliamo la grazia a questi terroristi?». Eppure, la Valle Aurina la pensa quasi tutta come Oberleiter: «Io mi sento diverso da un torinese o da un napoletano, è normale», dice Herr Apfalterer, proprietario di un negozio di scarpe di Lutago. Gli fa eco Bernhard Zimmerhofer: «Noi desideriamo il Tirolo unito, all’epoca servivano le bombe, oggi c’è la democrazia». E cita l’ingiustizia della Catalogna, che non può avere un referendum. Parole che suonano come un oltraggio per Dina Tiralongo, figlia del carabiniere ammazzato. Da tutta la vita, di desiderio ne ha un altro: «Sarei per toglierla, questa maledetta autonomia. Un soldo in più non vale due popoli che si detestano». Assiste disgustata al ritorno dei sentimenti separatisti di questa comunità di confine, che si sente europea e vuole federalismo, patria splendida e orgogliosa dello sci e del Graukäse, il formaggio grigio, che secondo lei, «da 55 anni a questa parte non è cresciuta per niente dal punto di vista umano».