Corriere della Sera, 18 ottobre 2019
Jack Cambria, professione negoziatore
Un’esperienza di oltre 5 mila negoziazioni in 34 anni – dai tentati suicidi ai criminali con ostaggi – aiuta a risolvere ogni situazione delicata. «Ma non ad avere la meglio in una disputa con la propria moglie». È l’unica cosa di fronte alla quale si deve arrendere pure lui, Jack Cambria, l’italo-americano 64enne di Brooklyn, pluridecorato ex comandante della squadra di negoziazione ostaggi della Polizia di New York che oggi va in giro a insegnare a poliziotti e persino manager a gestire le situazioni delicate.
Cambria ha scritto un libro (Parliamone, Roi Edizioni, 192 pagine, 19 euro) nel quale compie un viaggio nella sua vita professionale, senza dimenticare le origini italiane. «Mio nonno era di Milazzo e mia nonna di Palermo», ricorda lui nell’intervista al Corriere.
Queste origini, sostiene lei, l’hanno aiutata nel lavoro.
«È così: noi italo-americani tendiamo a provare sentimenti molto intensi e proprio le emozioni hanno avuto un grande ruolo nella mia vita».
In che senso?
«Se c’è una cosa che le negoziazioni hanno in comune è che sono spinte dalle emozioni: in qualunque crisi se non sei in grado di gestire le tue emozioni allora queste controlleranno te con effetti negativi. Ma prima di tutto questo devi dimostrare empatia e compassione: senza, perdi credibilità».
C’è una foto del 2014: c’è un signore che minaccia di lanciarsi giù dal tetto del museo delle cere Madame Tussauds di New York e a pochi metri si vede lei...
«È uno dei casi in cui devi dimostrare che ti importa della persona. Mi sono avvicinato, mi sono presentato e gli ho detto “mi piacerebbe parlare con te”. Lui ha ribattuto: “Sono stanco della gente che vuole parlare con me”».
E lei cos’ha fatto?
«Ho aspettato e ho ribattuto: “Ok, allora voglio ascoltarti. Dimmi, cosa c’è di così brutto nella tua vita che non vedi altro che la morte per te?”. Dopo un po’ si è calmato e non si è buttato».
Perché lui e tanti altri hanno cambiato idea?
«Perché queste persone sono una sorta di teiera a pressione: accumulano giorno dopo giorno, non trovano una valvola di sfogo e poi esplodono. Io faccio questo: faccio rilasciare lentamente quella pressione facendo raccontare le loro storie di vita».
È il cuore del libro. Lei dice: «Parliamone». Perché?
«Che senso ha fare il negoziatore se parli tu e non chi minaccia di suicidarsi o di fare del male?».
Per questo lei teorizza la regola dell’80-20.
«Esatto. Un buon negoziatore – sia esso di una squadra speciale della polizia o un capo azienda – deve ascoltare per l’80% del tempo e parlare per il restante 20%. Solo così può capire cosa succede alla persona che ha davanti, solo così può guadagnarsi la fiducia e fargli cambiare idea».
I momenti più critici? Di solito sono i primi 15-45 minuti, perché è in quel momento che inizia ad abbas-sarsi
la pressione
e a tornare un po’ di razionalità
Lei scrive che meno del 2% delle persone sono educate all’ascolto...
«L’ascolto è una cosa che si impara, che richiede uno sforzo quotidiano, che implica un coinvolgimento partecipato mentre l’altro ti parla».
Quali sono i momenti più critici in una crisi?
«Di solito i primi 15-45 minuti perché è in quel momento che si deve ridurre la pressione e riportare a galla un po’ di razionalità».
Quanto è durata la missione più lunga?
«Una cinquantina di ore. Nel corso delle quali sono stati coinvolti 17 diversi negoziatori, compreso me, per far desistere una persona disturbata dal farsi del male».
Lei quanto tempo è stato lì?
«Circa 20 ore».
Si ricorda quante vite ha salvato?
«Non ho tenuto il conto».
Ha mai più incontrato di nuovo quelli a cui ha fatto cambiare idea?
«Solo in un caso quando un ragazzo, dopo anni, mi ha ringraziato. Ma il lavoro è così».
Ha mai dovuto usare in casa le tecniche impiegate nel lavoro?
«No perché mia moglie, ex funzionaria di alto rango della polizia francese, sa come mettermi in riga».