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 2019  ottobre 17 Giovedì calendario

CARLO NON FARLO! – DE BENEDETTI PER “REPUBBLICA” SOGNA LA FONDAZIONE MODELLO “GUARDIAN” CHE IN 7 ANNI HA ACCUMULATO PERDITE PER 444 MLN DI EURO – MA, A 85 ANNI, PUNTAVA SOLO A FARE CASINO PER ESSERE DI NUOVO AL CENTRO DELLA SCENA, ACCREDITARSI COME “QUELLO CHE DECIDE”, QUANDO NESSUNO SE LO FILA PIÙ - L’UNICA COSA CHE È RIUSCITO A FARE È, NELLA SOSTANZA, METTERE LA GEDI SUL MERCATO QUANDO I FIGLI NON AVEVAMO NESSUNA INTENZIONE DI VENDERE (CATTANEO E MARSAGLIA SONO STATI GENTILMENTE ACCOMPAGNATI ALLA PORTA) -

Claudio Plazzotta per Italia Oggi Prima investire pesantemente nel digitale. E poi, in un secondo tempo, «portare le mie azioni, convincendo gli altri azionisti a fare altrettanto, in una Fondazione. Una Fondazione cui parteciperanno rappresentanti dei giornalisti, dirigenti del gruppo, personalità della cultura. L' obiettivo è assicurare un futuro di indipendenza a un pezzo di storia italiana». Questi i piani di Carlo De Benedetti per Gedi e La Repubblica, dopo aver comunicato la sua intenzione di voler rilevare il 29,9% del gruppo editoriale.

Il bello è che quando ci sono giornali che scricchiolano, ecco arrivare la parola magica: fondazione. È stata fatta, di recente, anche nell' immaginarsi un futuro per la tedesca Bild o il francese Le Monde.

Anche se, come ampiamente raccontato ieri da ItaliaOggi, ci sono sostanzialmente solo due casi editoriali importanti, in Europa, con una storia sufficientemente lunga a base di fondazioni: l' inglese The Guardian e la tedesca Faz.

Poiché si è letto che il modello che ispirerebbe De Benedetti per le prossime stagioni di Repubblica è proprio quello del Guardian, gestito dallo Scott Trust limited, meglio sgomberare subito il campo dai dubbi: The Guardian chiude il suo bilancio con perdite operative da 20 anni consecutivi. Considerando solo gli ultimi sette esercizi, da quello chiuso nell' aprile 2013 a quello chiuso il 31 marzo 2019, il Guardian ha accumulato perdite operative per 383,2 milioni di sterline (444 milioni di euro), con investimenti miliardari che non hanno comunque fatto esplodere i ricavi: erano 210 milioni di sterline (243,2 mln di euro) nel 2014, sono arrivati a 224,5 milioni di sterline (260 milioni di euro) nel 2019.

Certo, il 2019 è stato l' esercizio con la perdita operativa più bassa (solo, si fa per dire, 16,6 milioni di sterline) e le prospettive sembrano buone, con la speranza di un imminente pareggio. Ma lo sforzo che il trust lanciato nel 1936 dalla famiglia Scott (commercianti in cotone originari di Manchester) ha dovuto sopportare finora è stato altissimo.

L' Ingegner De Benedetti, che a novembre compirà 85 anni, ha la voglia e i mezzi per farlo? Il Guardian, tanto per dare due numeri, ha chiuso il 2013 con perdite operative di 53,7 milioni di sterline su 196,8 mln di ricavi; nel 2014 ecco 48,3 milioni di sterline di perdite operative su 210,2 mln di ricavi; nel 2015 si arriva a 48,2 mln di sterline di rosso su 217,5 mln di ricavi; e il 2016 è l' anno orribile, con 100,4 milioni di perdite operative su 209,5 mln di ricavi (perdite pari alla metà dei ricavi, pazzesco).

Ancora, 62,5 milioni di perdite operative nel 2017 e 53,5 milioni nel 2018. Un vero disastro, insomma. Perciò, la formula della fondazione non mette al riparo dalla crisi. Bisogna inoltre ricordare che la nascita di Gedi, con la fusione tra Repubblica, Stampa e Secolo XIX, non deriva solo da logiche industriali.

Ma è stata, diciamo così, molto appoggiata da quel sistema di interessi finanziari e politici che comunque non possono lasciare i quotidiani italiani più influenti nelle mani di chiunque. Vale per Repubblica, dove il socio di maggioranza è Cir ma il garante, con poco meno del 6%, è la Exor di John Elkann, e vale per Il Corriere della Sera, dove l' editore è Urbano Cairo, ma la rete di garanzie resta molto forte.

Se Carlo De Benedetti avesse 20 anni di meno, il mercato potrebbe anche vedere con favore il passaggio di una società editoriale a un imprenditore appassionato come l' Ingegnere. Così come è stato quando Rcs è stata scalata da Cairo, che in poco tempo ha raddrizzato i conti della casa editrice gestita invece direttamente per troppo tempo dal cosiddetto sistema.

Ma la fumosa governance di una fondazione, ai cui vertici dovrebbe poi salire un bravo giornalista ma senza competenze manageriali come Ezio Mauro, lascia interdetti in molti. Tanto che nel mercato si fa strada da più parti l' ipotesi che, in caso di ulteriori rilanci da parte dell' Ingegnere, possa entrare in campo l' altro Ingegnere, John Elkann, che con la sua Exor potrebbe lanciare una opa totalitaria su tutta Gedi.

Comunque, ci sono anche esempi virtuosi di fondazioni che gestiscono un quotidiano. È il caso della Frankfurter Allgemeine Zeitung, uno dei più autorevoli quotidiani tedeschi: appartiene a una fondazione ed è diretto da tre direttori (in passato addirittura da cinque) che si spartiscono i settori di competenza. Diffonde poco più di 200 mila copie al giorno, con ricavi attorno ai 250 milioni di euro e un risultato netto positivo. Nel 2014, a seguito di un rosso di 2 milioni di euro, aveva deciso un drastico taglio del personale per complessive 200 unità, di cui 40 giornalisti su un totale di 400.

LE RADIO RESTANO IL VERO GIOIELLINO DEL GRUPPO GEDI Da Italia Oggi

Che poi, a dirla tutta, se proprio uno volesse fare una speculazione su Gedi dovrebbe puntare tutto sulla radio. Il comparto radiofonico del gruppo (Deejay, Capital ed m2o), infatti, è in assoluto quello più redditizio tra tutte le attività in cui è impegnata la casa editrice ex Editoriale Espresso. Tanto per dare due numeri, nel 2018 il polo radiofonico di Gedi ha chiuso con ricavi pari a 62 milioni di euro (+5% sul 2017) e un risultato operativo positivo per 15,8 milioni di euro (ovvero, un margine del 25,4% sui ricavi).

Nel 2017 l' area radio aveva complessivamente incassato 59 milioni di euro, per un risultato operativo pari a 15,5 milioni: un rapporto del 26,2%. E sempre l' area radio, nel 2017, aveva distribuito all' azionista Gedi dividendi per 11,2 milioni di euro, manna dal cielo per un consolidato Gedi 2017 con un risultato ante imposte totale positivo per appena 19 milioni di euro complessivi.

Le radio di Gedi, quindi, assicurano performance assolutamente brillanti, e di gran lunga migliori della business unit Stampa nazionale (quella di Repubblica e delle testate periodiche), con ricavi 2018 per 253,8 milioni (-8,1% sul 2017) e un risultato operativo in rosso per 43,6 milioni. E pure della business unit News network (con La Stampa, Il Secolo XIX e le altre testate locali), che su 254,1 milioni di euro di fatturato ha prodotto un risultato operativo pari a 13,5 milioni (appena il 5,3% di marginalità).

Le tendenze sono confermate anche nei primi sei mesi del 2019: il fatturato del comparto radio di Gedi è salito dello 0,4% a 32 milioni di euro, con un risultato operativo positivo pari a sette milioni (una marginalità di quasi il 22%), a fronte invece di una divisione Stampa nazionale (quella di Repubblica) con ricavi in calo del 5,8% a 116,5 milioni e un risultato operativo in rosso per 7,7 milioni di euro.

Scende nettamente pure il fatturato dell' area News (Stampa, Secolo XIX e quotidiani locali), a 116,9 milioni di euro (-8,6% rispetto ai primi sei mesi del 2018), con un risultato operativo positivo per 5,8 milioni (e una marginalità, quindi, sotto il 5%).

Insomma, il vero gioiellino del gruppo Gedi è la controllata Elemedia, che dal novembre 2017 è completamente dedicata alle attività dei brand radiofonici del gruppo (comprese quelle dei marchi sui social e sul web), avendo trasferito tutte le altre attività digitali di Gedi, e 125 dipendenti su 243, nella nuova società Gedi digital. Senza dimenticare che nel perimetro di Gedi c' è anche il business di Radio Italia (partecipata al 10%), la cui pubblicità, pari a circa 30 milioni di euro, è raccolta dalla concessionaria Manzoni controllata da Gedi. Sull' ipotesi dello spezzatino del gruppo, ieri il titolo Gedi ha chiuso in Borsa a quota 0,306 euro, in rialzo del 6,43%.