il Giornale, 17 ottobre 2019
Intervista al direttore d’orchestra Beatrice Venezi
D’altra parte ci vuol poco a capire perché Beatrice Venezi sia stata inclusa dalla rivista Forbes tra i cento under 30 più influenti nel mondo. Ha 29 anni, è nata a Lucca come «il mio spirito guida» Puccini ed è la più giovane direttore d’orchestra ad avere un successo intercontinentale. Ma non basta. Il suo gesto nella direzione è fluido e preciso. E il suo entusiasmo è contagioso. Tutt’altro che compiaciuta di far parte di una élite che suona per una élite, ha il rarissimo desiderio di voler divulgare la musica classica, aprirla ai giovani che non la conoscono e sfatare i cliché che la avvolgono e appesantiscono. Adesso che pubblica per Warner il suo primo disco My journey, lei spiega perché. E lo fa alla sua maniera elegante e volitiva e pressoché irresistibile.Scusi, direttrice Venezi...
«No, direttore, prego».
Sa com’è, bisogna stare attenti anche a declinare le cariche.
«Credo che non sia necessario sottolineare il genere di un professionista. Maestra e direttrice rimandano a lavori diversi, anzi direttrice mi fa venire in mente la signorina Rottenmeier...».
Quali cliché vuole sfatare?
«Intanto quelli della donna di cultura che per forza deve essere trasandata e poco femminile. In Italia siamo ancora fermi a questo».
E poi?
«Quelli che ruotano intorno alla musica classica. A me piace l’idea che torni alle origini, che si distacchi dalle élite e torni alle proprie radici, ossia al popolo. E quindi ci vuole divulgazione, specialmente tra i giovani, che letteralmente non conoscono le opere e il loro contenuto. Su questo punto mi arrivano molte critiche».
Però sul direttore dovrebbe essere soltanto l’orchestra a decidere se accettarlo oppure no.
«Si dice che l’orchestra valuti il direttore mentre entra in sala e cammina verso il podio. Poi lavora insieme».
Qual è il suo mercato più «difficile»?
«In questo senso direi l’Italia, più ancora del Giappone, che è considerato più maschilista. Pensi che per una direzione laggiù mi avevano chiesto un dressing man alike, sostanzialmente di vestirmi come un uomo».
E lei?
«Ho detto di no, mi sono presentata con il mio abito».
Com’è andata?
«La volta dopo mi hanno reinvitato e non mi hanno più spiegato come vestirmi».
Come si fa a divulgare la musica classica in Italia?
«Intanto prendendo atto che l’educazione musicale in Italia è imbarazzante. Tanto per capirci, quando si parla di Lucca tutti pensano al Lucca Comics o al Summer Festival e pochissimi si ricordano che è il luogo dove è nato Giacomo Puccini, uno dei compositori più rappresentati del mondo, il primo influencer, dandy e grande amante delle donne, inventore del product placement: si faceva fornire abiti sartoriali e cappelli, offrendo in cambio pubblici ringraziamenti».
Il mondo della classica è stato sconvolto di recente da accuse su molestie sessuali.
«Nel mio caso, non è mai successo niente. La battuta ci sta, o quantomeno si tollera. Ma, se non si mostra disponibilità, non c’è spazio».
Le piacerebbe fare televisione?
«Ci sono programmi come il Festival di Sanremo o Amici nei quali credo mi sentirei a mio agio, raggiungendo oltretutto i giovani e i giovanissimi».
Qualcuno dice che lei possa essere l’«Alberto Angela della classica», una grande divulgatrice.
«Beh non so se questa è la definizione giusta, però mi ci rivedo. Anche nel dialogo social con chi mi segue sui network, mi accorgo che tanti ragazzi hanno proprio voglia di conoscere di più, di capire meglio. Mi scrivono cose del tipo di che cosa parla Carmen di Bizet?, perché Traviata?. E mostrano molto interesse nelle risposte.
Esce il suo disco My Journey – Puccini’s Symphonic works. Qualcuno potrebbe obiettare sul titolo in inglese.
«Ma è un disco che andrà in giro per il mondo e quindi ho dovuto usare la lingua inglese. Ma poi dentro c’è la lingua di Puccini, che è universale».