il Fatto Quotidiano, 16 ottobre 2019
Cina, la diplomazia del debito
Prima tutte le strade portavano a Roma. Oggi, a Pechino. Nel 2013 l’impero di Mezzo, attraverso il suo ambizioso presidente Xi Jimping, annunciava il più grande piano d’investimenti della storia, la nuova Via della Seta o Bri (Belt and Road Initiative): 40 miliardi di dollari per nuove vie commerciali ai prodotti cinesi, a cui se ne sono aggiunti altri 100 nel 2017. La Cina è coinvolta in progetti in 125 stati e ha firmato 173 accordi di cooperazione, dall’energia idroelettrica in Uganda, alla rete ferroviaria in Nigeria, una città portuale in Sri Lanka e una linea ferroviaria tra Belgrado e Budapest, un’autostrada in Montenegro e un ponte in Croazia.
L’Europa dell’est ha accolto come manna dal cielo l’arrivo dei cinesi per completare le infrastrutture per le quali non bastano i fondi Ue. Ancora prima che Xi Jimping rivelasse i suoi piani, a Varsavia nel 2012 veniva riunito il gruppo 16+1, con i paesi dell’Europa centrale e dell’est: un forum di scambi politici e tecnici per, ufficialmente, avvicinare l’Europa alla Cina. Un modo per acquisire influenza dove lo Stato cinese costruisce e presta soldi. “Si toglie ossigeno alle relazioni Ue-Cina” dice un funzionario della Commissione europea, perché di fatto la Cina usa le divisioni europee per guadagnare terreno. “L’Ue non dovrebbe lasciare che i suoi stati membri negozino, dovrebbe diventare il partner nella Via della Seta e fare da interlocutore con gli stati”, dice Pierre Defraigne, ex capo gabinetto del commissario Pascal Lamy, grande esperto di Cina a Bruxelles. “Finché non avremo una difesa e una politica estera davvero comuni, Pechino continuerà a parlare solo con le capitali”.
Ma come funzionano questi investimenti cinesi? Abbiamo visitato il cantiere del Ponte di Sabioncello, in Croazia, che permetterà di evitare l’enclave della Bosnia Erzegovina, arrivando a Dubrovnik. Il governatore locale, Nikola Dobroslavic, è entusiasta: 200 operai cinesi lavorano giorno e notte per costruire i pilastri per il ponte di 2,5 chilometri nella Baia di Mali Stom. La società pubblica cinese, China Communication Construction Company, ha vinto la gara con 100 milioni e sei mesi di lavoro in meno rispetto all’italiana Astaldi e all’austriaca Strabag. Hanno fatto ricorso, denunciando un prezzo troppo basso rispetto al mercato, c’è stata un’inchiesta, le società europee hanno perso. L’Ue mettel’85% dei 357 milioni che costerà l’opera. “Il miglior risultato al minor prezzo e nel più breve tempo”, dice Dobroslavic, che non risponde però alle domande sui lavoratori cinesi che dormono in container e hanno orari massacranti.
Per l’autostrada in Montenegro, invece, il governo si è indebitato: 809 milioni da rimborsare in 20 anni, al 2%. Con la perdita di valore della moneta, il debito è già arrivato a un miliardo, somma astronomica per la fragile economia del giovane stato balcanico. Il cantiere, ha denunciato il Fmi, rischia di portarlo alla bancarotta. “Un terzo del nostro debito pubblico è cinese, 80% del nostro Pil, nessuno sa a cosa serva quest’autostrada”, dice il giornalista Milka Tadic-Mijovic. Inoltre il contratto tra i due governi è segreto, ma molte fonti hanno confermato a Investigate-Europe che c’è una clausola che permetterà alla Cina di espropriare immobili pubblici se non sarà rimborsata secondo gli accordi. È la “diplomazia del debito” cinese studiata anche da due ricercatori di Harvard. L’Italia è entrata quest’anno nel club dei Paesi della Via della Seta con un Memorandum of Understanding per rientrare tra le rotte marittime cinesi. Trieste, Genova, Vado sono in pole per attirare investimenti su reti ferroviarie, porti, dighe e ponti. “Se vuoi diventare ricco, prima costruisci una strada”, dice un proverbio cinese.