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 2019  ottobre 16 Mercoledì calendario

Storia di Cristiano Ronaldo prima dei 700 gol

I gol, i record («sono loro che mi inseguono» minimizza lui), i palloni d’oro e le Champions League passano. L’ombra che accompagna i successi di Cristiano Ronaldo no. Anzi, è proprio nei giorni di festa – oggi per la 700esima rete in carriera – che la ferita si riapre. La prova? Le lacrime e le parole di CR7 durante l’intervista all’inglese Itv del mese scorso. «Sono il numero uno. Mamma, fratelli e amici mi hanno visto vincere tutto – ha detto commosso guardando un video inedito del padre José Dinis Aveiro, scomparso nel 2005 – Lui no».
Un piede magico e un conto in banca a tanti zeri non bastano ad avere tutto. E il numero sette della Juventus, malgrado siano passati 14 anni, fatica a farsene una ragione. «Cristiano non è né un robot né un supereroe. E il vuoto lasciato da Dinis è il suo tallone d’Achille», spiega Paulo Sousa Costa, amico di famiglia e autore della biografia ufficiale ("Madre Coraggio” ) di mamma Dolores. Di lei – la colonna che ha tenuto in piedi la famiglia nei tempi durissimi dell’infanzia di CR7 – si sa tutto. Del marito, morto per le conseguenze di una cirrosi epatica dopo una lunga storia di dipendenza dall’alcol, no.
«Nemmeno io lo conosco al 100%, non ho mai avuto una conversazione da padre a figlio con lui», ha ammesso il giocatore. «Ma se Ronaldo è diventato il papà che è – assicura Sousa Costa – è grazie a quello che ha imparato dal tormentato rapporto con lui». Che malgrado una vita con tanti bassi e pochi alti «si è conquistato un posto speciale nel cuore dei figli», conferma Guillem Balague, autore di “CR7 – La biografia” edito da Piemme. Ci fosse bisogno di una prova concreta, basta guardare la foto ufficiale di famiglia pubblicata nella biografia di Dolores. Un ritratto lungo tre generazioni, scattato dopo la morte del “capostipite”. Ma dove tutti assieme – racconta Sousa Costa – «hanno deciso di inserire photoshoppandola la foto di Dinis», seduto tra figli e nipoti.
Il rapporto tormentato tra Cristiano e il padre ha una ragione semplice: quando il campione portoghese è nato, la vita di pai — come lo chiama lui – era già stata segnata dalla guerra. A 21 anni «il ragazzo che mi ha conquistato perché sapeva farmi ridere» – scrive la moglie nella biografia – è stato spedito con il Battaglione 4910 a combattere in Angola. Quando un anno dopo la nave Niassa lo ha riportato a casa, non era più lui.
«Non era ferito nel corpo, ma nell’anima» è la tesi di Balague. Lavoro per i veterani, a Madeira, non ce n’era. E molti di loro, Dinis incluso, si sono persi nell’alcol. «Dolores ha capito subito che avrebbe dovuto arrangiarsi da sola – spiega Sousa Costa – Ma al marito, con cui da allora le cose non sono state più come prima, ha chiesto una cosa: continuare ad amare i figli». Lei non gli ha mai tolto questo ruolo. E lui – malgrado tutto – ne è sempre stato all’altezza.
«Quella di Cristiano è stata una famiglia dove la madre ha fatto anche da padre», dice Sousa Costa. Orfana di una presenza paterna costante, con il filo invisibile della passione per il calcio a unire pai e figlio: Dinis ha fatto esordire Ronaldo nell’Andorinha, la squadra dove ha trovato lavoro da magazziniere. È lui che gli ha scelto come padrino al battesimo Fernando Barros Sousa, capitano del Nacional Madeira e suo idolo personale. I due sono arrivati in ritardo alla cerimonia («Fernando stava giocando », si è giustificato babbo Aveiro con il parroco). Ma sarà proprio Barros Sousa a regalare al figlioccio il primo pallone con cui lui lascerà subito a bocca aperta tutto il barrio di Quinta Falcao, il suo quartiere.
«Ci diceva che suo figlio sarebbe diventato il miglior giocatore del mondo e tutti gli davamo del pazzo» ha ricordato a Espn l’ex-commilitone in Angola Alberto Martins. Invece vedeva più lontano di tutti. E malgrado un’esistenza sull’ottovolante – si dice abbia tentato di vendere la maglietta indossata dal figlio all’esordio con il Manchester per comprarsi da bere – è stato sempre presente quando Dolores e Cristiano hanno avuto bisogno di lui. «È stato lui a gestire il primo trasferimento importante di Ronaldo, quello allo Sporting di cui era supertifoso», dice Sousa Costa. A lui il club di Lisbona ha versato il primo stipendio di 10 mila scudi – 50 euro circa – del giovane fenomeno.
Dinis non l’ha mai seguito all’estero come la mamma: «Troppo caos, mi innervosisce vedere le sue partite», ha spiegato nel video di Itv. Quando si è ammalato ha rifiutato le offerte insistenti del figlio, pronto a farlo curare nei migliori ospedali del mondo. Dicendo “sì” solo quando le condizioni si sono aggravate e CR7 l’ha portato – ormai era tardi – a Londra.
Babbo Aveiro è morto il 6 settembre 2005. Cristiano quel giorno era in trasferta in Russia con la nazionale. E a dargli la notizia – con parole delicatissime – prima del match è stato l’allenatore Felipe Scolari, che da quel giorno – misteri della psiche – lui chiama papà. Ronaldo ha deciso di giocare lo stesso «la partita più difficile della vita». Come se correre dietro a un pallone fosse il modo migliore per salutare il padre. E poi ha provato a riempire il vuoto riempiendo di ritratti ad olio di Dinis le sue case. «Una fonte riservata mi ha detto che Cristiano, da sempre facilissimo alle lacrime, ha smesso di piangere quel 6 settembre», racconta Balague. Le lacrime, se mai sono sparite, sono rispuntate il mese scorso davanti a quei due minuti di riprese in cui papà – appoggiato all’ingresso della casa di Sao Gonçalo regalo del figlio – parla di lui: «Sono orgoglioso, tutti dicono che è un fenomeno». «Mi ha trattato come un diamante – ha commentato commosso Ronaldo – Tutto quello di bello che ho avuto è perché lui mi aiuta dall’alto». Lunedì sera, dopo la rete all’Ucraina, ha alzato gli occhi verso il cielo. Quei 700 gol, in fondo, li hanno segnati in due.