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 2019  ottobre 15 Martedì calendario

Santificato l’inglese John H. Newman, uno dei più grandi filosofi cristiani dell’Ottocento

Nell’Ottocento, il secolo della rivoluzione industriale e della conquista coloniale, l’Europa raggiunse un alto grado di civiltà e di benessere. Accompagnate dalla nascita di una nuova religione, della Scienza e del Progresso, che gradualmente mise in crisi le credenze tradizionali. Le vecchie religioni, per difendersi, si chiusero su se stesse, rendendo immutabili le vecchie e tradizionali credenze. Il Cattolicesimo ebbe, in tale secolo, solo due pensatori del calibro di S. Agostino e S. Tommaso, che difesero la tradizione ma la rivestirono di un abito più adatto alla mutata situazione. Incorrendo, inevitabilmente, nell’odio dei vecchi gestori dei luoghi comuni, i gesuiti, rinati dopo la soppressione settecentesca.Il primo fu l’italiano Antonio Rosmini (1787-1855), grande mente filosofica ch’egli tradusse nella formazione di una nuova «enciclopedia» da sostituire a quella dell’illuminismo. La Chiesa, dopo decenni di diffidenza, lo ha accolto fra i suoi autori e nel 2007 papa Ratzinger l’ha beatificato. Ora si attende la santificazione. Che invece è toccata domenica scorsa all’altra Mente, John Henry Newman (1801-1890). Presbitero anglicano ritenne questa religione troppo compromessa con le tendenze del mondo e a 44 anni si convertì al cattolicesimo. Un doppio scandalo: per gli anglicani, ovviamente, ma anche per i cattolici, che lo hanno sentito come un corpo estraneo, troppo «modernista». Ma non per papa Leone XIII, che nel 1879 lo dichiarò Cardinale.
La sua scelta dell’ordine religioso al quale aderire scartò i gesuiti e si rivolse a una congregazione romana, quella dell Oratorio fondata da Filippo Neri. Dopo alcuni anni trascorsi a Roma, tornò in patria. Nel viaggio si fermò a Milano, nella speranza di vedere Rosmini, del quale aveva le opere, e Manzoni, i cui Promessi sposi tanto gli erano piaciuti. Ma non fu possibile. In Inghilterra, prima a Birmingham poi a Londra, fondò delle comunità oratoriane. Uomo di attivismo caritativo, fu ancor più uomo di pensiero. Nel 1851 si trasferì in Irlanda, dove fondò l’Università cattolica di Dublino. In essa egli sostenne sempre che il cattolico non deve subordinare la sua ragione alla fede, ma usarla al suo fianco: negli istituti di cultura, la prima cosa è l’intelligenza.
Il suo concetto di università, espresso in L’idea di università (1852), la distingue sia dalle scuole di teologia che dagli istituti che insegnano un mestiere. Il suo connazionale, Thomas Hobbes, aveva torto quando prescriveva «il sapere è potere». Nella educazione liberale il sapere, invece, è per il sapere, è formazione della persona, che viene abituata a vedere in ogni cosa il tutto: l’uomo è un animale che ragiona, che vede sente osserva e agisce; per lui la fede e la ragione scambievolmente si sostengono e producono l’uomo integrale, che Newman chiama «gentleman».
Questa educazione, libera e disinteressata, Newman la chiama «liberale»: si forma un abito mentale che dura tutta la vita, i cui attributi sono la libertà, l’equità, la calma, la moderazione e la saggezza; l’università forma in primo luogo l’intelligenza: «essa educa l’intelletto a ragionare bene in ogni argomento, a slanciarsi verso la verità e ad afferrarla» (first intellect).
La religione è un moto dell’anima, non del pensiero, essa nasce dal cuore e nel cuore si trasmette (cor ad cor loquitur). Ma la razionalità non le è estranea, essa non produce la fede, ma la verifica, non «dimostra Dio», ma lo «mostra». Nel 1870 egli stese La grammatica dell’assenso, dove riprende la tesi che tutto parte dalla fede in Dio, alla quale gli uomini colti aggiungono una ragionevolezza (non razionalità) che la rafforza. La fede tuttavia non richiede solo la ragionevolezza, ma anche un assenso (grammar of assens) completo della persona.
Il suo lavoro più duro e più pericoloso fu quello sul dogma: Saggio sullo sviluppo della dottrina cattolica (1845). C’è o non c’è una divenire dei dogmi, come volevano i non cristiani? La soluzione di Newman è accorta e moderata: non sono i dogmi che evolvono, ma la loro interpretazione nel corso dei secoli; essi vanno considerati come dei simboli religiosi il cui nucleo perenne assume espressioni diverse nella successione dei tempi. Tutto l’insieme dogmatico, per Newman (come dice il motto scelto per il suo stemma cardinalizio), ci aiuta a passare dall’ombra e dai simboli alla verità (ex umbris et imaginibus in veritatem). Domenica il titolo di santo è stato attribuito a Newman; ora non ci resta che attendere e sperare che presto tocchi anche all’altro grande filosofo cattolico dell’Ottocento, Rosmini.