Libero, 15 ottobre 2019
Letta s’inventa «l’imperatore straniero»
nEnrico Letta non deve prendersela: a tutti i politici capita di fare pessime figure. Nel suo caso, poi, non siamo ancora ai livelli di Gigino Di Maio – che ha collocato il regime di Pinochet in Venezuela – o di Gianfranco Fini, che scambiava il Darfur con i Fast Food. Non ci avviciniamo neanche alle vette di Antonio Di Pietro, grande storpiatore di detti quale «non c’è niente di peggio del cieco che non vuole vedere» o di frasi celebri con palesi errori di calcolo «dei nostri 1500 dirigenti ce ne saranno stati anche due disonesti. Ma, vivaddio, gli altri 1499 sono persone perbene». Certo, però, il politico dem di mestiere fa il professore universitario: dirige la Scuola di affari internazionali dell’Istituto di studi politici di Parigi. Per chi non la conoscesse, si tratta di uno degli atenei più esclusivi d’Europa, spesso indicato come esempio di struttura “elitaria”. Su 10 ragazzi che chiedono di iscriversi, 9 vengono respinti. E quasi tutti quelli che riescono a entrare vengono da famiglie ricche. Un po’ come l’imperatore Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico, meglio conosciuto come Claudio e basta. LO STRAFALCIONE Capita infatti che il buon Letta si sia presentato qualche giorno fa a un’esposizione a Roma e ne sia uscito entusiasta, tanto da mettesi a sproloquiare su Twitter: «Ho visitato e molto apprezzato all’AraPacis la mostra su Claudio primo Imperatore straniero a Roma, primo di una lunga serie. Quanto erano più lungimiranti di noi i romani, bravi a integrare e prosperare...». E il web ha reagito male: messaggi a raffica per sfottare Enrico. Il problema, infatti, è che Claudio non si può proprio definire “straniero”: è figlio della più squisita aristocrazia romana (la Gens Giulio-Claudia). Effettivamente è nato fuori dall’Italia (ovvero a Lugdunum, l’attuale Lione, nell’allora Gallia) ma per il semplice fatto che l’illustre padre si trovava da quelle parti per domare le province del Nord e all’occorrenza per passare il Reno e andare a massacrare qualche migliaio di Germani. Che poi anche dire «fuori dall’Italia» non avrebbe alcun senso: i romani non avevano certo il nostro concetto di nazione, anche nascere a Cagliari o Messina sarebbe stato tecnicamente «estero». L’importante era la cittadinanza e la stirpe romana, un’idea un po’ razzista a ben vedere. Ma infatti è la seconda parte del messaggio di Letta che manifesta una visione della storia un po’ distorta. L’ABILITÀ I romani, più che a integrare, erano bravi a conquistare e esportare ciò che per loro era meglio: la cultura latina. Per questo lo stesso imperatore Traiano, il primo effettivamente cresciuto fuori dalla penisola tra i dominatori dell’Urbe da Augusto in poi, era in effetti a sua volta romanissimo pur venendo dalla Spagna, terra dalla quale la tradizione celtibera è stata lentamente rimossa a colpi di pilum. Insomma, se Claudio è uno “straniero” allora il generale Custer può tranquillamente essere considerato un pellerossa, essendo vissuto in Nord America. Il concetto di “integrazione” degli yankee non era poi tanto diverso da quello dei nostri avi. Così anche Giorgia Meloni accusa e si prende gioco del povero Letta: «Dopo Leonardo “italo-francese” un’altra distorsione storica della sinistra: “Claudio primo imperatore straniero a Roma”. Peccato fosse romano, di stirpe romana nato in Gallia (provincia romana). Possibile che la sinistra odi a tal punto nostre origini da cambiare anche la storia?». Non è chiaro se la odino, di sicuro la studiano malino.