il Giornale, 15 ottobre 2019
Craxi racconta Craxi
Nel piccolo cimitero cristiano, un vento fresco sfoglia il quaderno degli ospiti su un leggio. Soffia dal Mediterraneo, dall’Italia. Chi non ha mai visitato la kasbah di Hammamet non immaginerebbe mai un luogo così semplice, così raccolto, così aperto, così vicino al mare. Qui riposa Bettino Craxi. Un tricolore, una bandiera tunisina, un fazzoletto del Partito socialista. E il libro in cui si legge l’ormai famoso epitaffio: «La mia libertà equivale alla mia vita». E garofani. E rose. «Hai pagato per tutti» si legge in uno dei mille messaggi. «Viva la libertà» ha scritto un altro militante. Non sono solo «nostalgici». A due decenni dalla sua morte, tanti italiani continuano a parlare a Craxi. E il primo premier socialista continua a parlare al suo Paese. Di economia e riforme, di Europa e sovranità, di giustizia e politica. Il caso Craxi equivale al caso Italia. A pochi metri dal cimitero cristiano, quello ben più grande dei musulmani. Fra i due, lo striscione di una mostra: «Garibaldi a Tunisi». L’eroe dei due mondi per poco visse esule in Tunisia. Il leader socialista era un cultore di Garibaldi e collezionava i suoi cimeli. C’è qualcosa di struggente e di romantico in questo esilio, cui Craxi volle dare carattere perpetuo: «In Italia non tornerò né da vivo né da morto, ma solo da uomo libero». Erano gli anni di una drammatica caccia mediatica a politica, cui fece seguito la malattia. Il 19 gennaio 2000 Craxi è morto ad Hammamet, e il ventennale si annuncia come un evento. La Fondazione Craxi presieduta dalla figlia Stefania custodisce questa memoria. «Ogni anno organizziamo questo ricordo – dice – e quest’anno sarà particolare. Partirà con la tre giorni tunisina, un viaggio alla volta di Hammamet, e proseguirà con un calendario ricco di iniziative. Sarà un anno craxiano».
La politica italiana fa finta di niente. «Del riformismo di cui è stato l’ultimo leader in Italia si fa un gran parlare ma io non ne vedo tracce» riflette Stefania, oggi senatrice di Forza Italia. L’opinione pubblica però è un altro discorso. Anche l’ostilità più accesa ha lasciato il posto a un giudizio più equanime. «Il tempo è trascorso e la storia comincia a fare il suo lavoro, mettendo in luce menzogne e verità» riflette la senatrice Craxi. «Ma alcune contraddizioni e molte ipocrisie restano, come certi nodi insoluti. Penso ad esempio a un Pd che continua a votare contro l’intitolazione a Craxi di strade e vie. D’altra parte cosa aspettarsi? Questa sinistra ha avuto come atto costitutivo il moralismo e il giustizialismo militante». Intanto a destra si moltiplicano le citazioni craxiane sull’Europa: «La destra i conti con Craxi prova a farli – osserva Stefania – non è un tabù, anzi. Anche se il sovranismo di Craxi era di tutt’altra cifra. Immaginava una nazione orgogliosa, un Paese rispettato anche dal suo alleato migliore, non un piccolo paese spaventato e ripiegato su se stesso, o subalterno, senza agenda politica e senza alleanze strategiche». Si definì un euro-pessimista, Craxi. «Dette vita all’atto unico europeo e quindi all’Ue – ricorda Stefania, già sottosegretario agli Esteri – ma vide con largo anticipo come l’Europa di Maastricht non si attagliasse a una realtà complessa. Denunciò la deriva burocratica del progetto europeo, le sue storture, e la mano di certi poteri, consapevole che l’Ue aveva bisogno di un grande Paese come il nostro e noi di lei». Era soprattutto, Craxi, un politico mediterraneo: «Pensava che l’Italia dovesse avere un ruolo di leadership dell’area e colse le sfide – dalla radicalizzazione all’immigrazione – e le opportunità di una regione in cui siamo immersi fino al collo».
Anche da qui il legame col mondo arabo e la Tunisia, lui che aveva origini siciliane: «In Tunisia c’è un villaggio, oggi in rovina, dove mio padre si recava spesso. Le case hanno anche le tegole, era un centro di pescatori siciliani, quando i migranti eravamo noi. È un legame antico, quello fra Tunisia e Italia. «Basti pensare che tutti gli anni al porto della Goulette, Tunisi, si celebra una processione della madonna di Trapani, partecipata da cristiani e non».
Pochi giorni fa, in una clinica dell’Arabia Saudita è morto Ben Alì, per 23 anni presidente tunisino. E l’attuale governo si è subito reso disponibile ad accogliere le sue spoglie. «La Tunisia è un Paese civile» commenta Stefania. «Craxi – racconta – non aveva un rapporto speciale con Ben Alì, lo aveva col popolo tunisino, che l’ha amato, difeso e rispettato. Ben Alì con mio padre non ha fatto altro che rispettare le convenzioni internazionali – quelle che venivano violate in Italia – riconoscendo la natura politica dei reati che gli erano ascritti e modalità persecutorie nei suoi confronti». Ora l’accostamento col destino del presidente tunisino è inevitabile: «Craxi – ricorda Stefania – disse in modo definitivo che sarebbe tornato da uomo libero o non sarebbe più tornato. Riposa, per sua scelta, in una tomba che guarda all’Italia in una terra che, come ebbe a dire, era straniera ma non estranea». «Io sono – aggiunge – testimone del fatto che la presidenza del Consiglio, con D’Alema presidente, offrì poche ore dopo la sua morte i funerali di Stato. Se aveva diritto a funerali di Stato, perché non aveva diritto a essere curato nel suo Paese?». Le cure. «I tunisini hanno fatto tutto quanto era nelle loro possibilità, ma certo le strutture mediche non erano paragonabili a quelle italiane ed europee».
Nella sua tomba, anche una croce: «Non era un credente – racconta la figlia – ma aveva un senso religioso della vita e profondo rispetto della cultura cristiana. Da ragazzo doveva fare il prete, poi trovò un’altra strada per stare vicino ai deboli». Il socialismo, democratico. E oggi anche l’Europa attesta che il Comunismo era altra cosa: «La storia ha decretato vinti e vincitori, attestando che il comunismo era un’ideologia fallimentare e antitetica alla libertà. La cosa paradossale è che in Italia le sue macerie siano crollate in testa a chi stava dalla parte della ragione».