ADRIAN MCKINTY: Me la passo bene, e immagino lo stesso tu. È già ottobre. L’anno sta volando. A New York stanno spuntando ovunque zucche e decorazioni di Halloween. Non so se sei connesso ai grandi cicli del nostro Pianeta intorno al sole e se hanno un impatto sulla tua scrittura e tutto il resto.
DW: Assolutamente no. Mi alzo presto e scrivo tutti i giorni, qualunque cosa succeda. Perché, su di te che impatto hanno i cicli?
AM : Beh, non è che vada sul punto più alto di Central Park e sacrifichi una capra o roba del genere. Ma ogni volta, quando arriva settembre, comincio a pensare che forse è tempo di cominciare un nuovo progetto.
DW: Come Lee Child ogni 5 settembre per gli ultimi vent’anni.
AM: Perché è il giorno in cui era stato licenziato dal suo lavoro, giusto?
DW: Sì. Allora, Adrian, grande domanda, perché proprio i gialli?
AM: I gialli erano considerati sempre un genere un po’ di serie b quand’ero ragazzo, a Belfast. La poesia era la regina delle arti, suppongo, e i poeti erano venerati. Poi venivano gli autori di teatro i e quelli che scrivevano narrativa letteraria. In fondo alla scala c’erano gli scrittori di fantascienza, di romanzi rosa e di gialli. Ma io adoravo i gialli, specialmente quelli americani, perché erano pieni di personaggi proletari e della classe media che si comportavano e parlavano come i miei amici e parenti. La letteratura irlandese, e soprattutto la letteratura britannica, all’epoca era dominata da personaggi raffinati e dai loro noiosissimi problemi del cavolo. Per citare gli Smiths, it said nothing to me about my life , non mi diceva niente sulla mia vita. E tu? Perché i gialli?
DW: È un genere da cui sono stato sempre attratto. In un romanzo giallo puoi fare più o meno quello che vuoi, finché lo chiami "romanzo giallo". Quali sono state le influenze principali che hai avuto crescendo?
AM: I romanzi americani, e in particolare la tv americana degli anni ’70 e ’80. Agenzia Rockford , Starsky e Hutch , Kojak , Hill Street giorno e notte :erano i telefilm più amati, a scuola e tra i miei amici. E in effetti molte di quelle serie reggono ancora bene in termini di copione, struttura, sviluppo della storia. Hill Street giorno e notte aveva qualcosa come 13 o 14 personaggi principali, e ognuno aveva una sua evoluzione nell’arco di una stagione. Non sono stati I Soprano e The Wire a farlo per primi.
DW: Quali scrittori leggevi?
AM: Più che altro gli autori di fantascienza e di gialli. Lessi Il padrino all’età di 12 anni, mi aprì parecchio gli occhi. Ma anche scrittori come Frank Herbert, Ursula Le Guin, Philip K. Dick, Samuel R. Delaney.
DW: Dimmi del tuo processo di scrittura.
AM: Processo è un parolone. Fa sembrare tutto troppo organizzato.
DW: Quando scrivi?
AM: Tu quando scrivi?
DW: Come ho detto, comincio presto e lavoro tutta la giornata.
AM: Io cerco di evitare di scrivere troppo. e quando raggiungo il numero di parole che mi sono prefisso mi fermo immediatamente.
DW: Quale numero?
AM: Cinquecento o mille. A meno che non sia sotto consegna. Una volta, con la prospettiva di un’azione legale, ho scritto un romanzo di novantamila parole in dieci giorni, ma questa è una storia che racconterò in un’altra occasione.
DW: Parlami del processo di composizione
di The Chain (il thriller di McKinty appena uscito in Italia per Longanesi,
ndt ).
AM: Dopo che hai avuto l’idea iniziale per un libro, sfortunatamente devi metterti a scrivere. Quando ho cominciato avevo le idee chiare sul primo centinaio di pagine, ma non avevo la più pallida idea di cosa sarebbe successo nel secondo e nel terzo atto. Ci sono voluti mesi e mesi a scrivere, correggere e riscrivere per mettere a punto la struttura definitiva del secondo e del terzo atto.
DW: Qual è stato l’impatto di Shane (Shane Salerno, agente di entrambi, ndt ) sul processo?
AM: Quando aveva avuto una giornata difficile, Shane si divertiva a chiamarmi in qualsiasi parte del mondo mi trovassi e a urlarmi che la mia ultima bozza "era davvero troppo lunga", che doveva scorrere più rapidamente. Avevo il sospetto che in realtà non leggesse le bozze e si basasse sul conteggio parole, e una volta ho fatto l’errore di chiedergli quali cambiamenti avrebbe fatto lui. Il giorno dopo mi ha spedito un documento di 40 pagine pieno di suggerimenti sui punti in cui la storia poteva essere scorciata. Non ho più commesso quell’errore.
DW: Qual è l’aspetto migliore di quello che ti è successo negli ultimi mesi?
AM: Il primo posto nella classifica dei libri più venduti del New York Times è stata una cosa ENORME. Ormai avevo più o meno rinunciato all’idea di entrare nella classifica del New York Times . Anche l’accordo per la trasposizione cinematografica con la Paramount è stato ENORME. Prima vivevo un po’ alla giornata, da un libro all’altro, ma il fatto di avere una certa sicurezza finanziaria penso che cambierà tutto, per me. La gente si immagina che gli scrittori diano il meglio di loro quando lavorano in un sottotetto e fanno la fame. Sono tutte cavolate. Può capitare, accidentalmente, che uno scrittore produca qualcosa di valido facendo la fame in un sottotetto, se è un genio o roba del genere, ma la maggior parte degli scrittori dà il meglio di sé quando ha una certa stabilità finanziaria. È sempre stato così. I primi lavori di Shakespeare sono un po’ delle sciocchezze, se vogliamo dire la verità, ma appena comincia a ritagliarsi una fetta della torta la qualità cresce.
DW: Ultima domanda: quali scrittori o altri artisti ti ispirano in questo momento?
AM: L’elenco è troppo grosso. Non potremmo fare semplicemente gli scrittori americani che non vedo l’ora di leggere quando pubblicano un nuovo libro? James Ellroy, Don Winslow, Joan Didion, Don DeLillo, Donna Tartt, Stephen King, Cormac McCarthy, Jesmyn Ward, Steve Hamilton, Kim Stanley Robinson. Una nuova scrittrice che ho cominciato a leggere solo qualche settimana fa è Ottessa Moshfegh: è dannatamente divertente e brillante.
DW: Grazie, Adrian.
AM: Grazie, Don, ora vado a sacrificare quella capra.
(Traduzione di Fabio Galimberti)