il Fatto Quotidiano, 14 ottobre 2019
Su The Irishman, il nuovo film di Scorsese
Fluviale, crepuscolare, definitivo. The Irishman di Martin Scorsese col trittico magister DeNiro-Pacino-Pesci mette un punto a capo al mafia movie. Che d’ora in poi deve fare i conti con un modo diverso di invecchiare, di ammalarsi e di morire. Tre ore e mezza che danno il senso ad anni di attesa: un viaggio a ritroso nelle (in)coscienze in sospeso di certi goodfellas, ringiovanirli all’occorrenza, rivisitarne i rapporti di amicizia, lealtà e mediazione.
Una riflessione elegiaca che pulsa a ritmi bradicardici come i cuori appesantiti dei protagonisti, e per questo lavora sul e nel Tempo come bene prezioso da conquistare e preservare.
Con una decina d’anni in progress fra letture e copyright del romanzo d’ispirazione – L’irlandese. Ho ucciso Jimmy Hoffa (I Heard You Paint Houses) di Charles Brandt – l’incrocio degli impegni del cast stellare, ma soprattutto la raccolta del budget necessario – 140 milioni di dollari in gran parte dati alla Industrial Light & Magic per il ringiovanimento in CGI (computer generated image) dei protagonisti – The Irishman è stato a lungo “il bel sogno” di Marty e i suoi buddies. “Succederà davvero? Noi ci abbiamo provato, ed eccoci qua” ride il cineasta con De Niro e Pacino contagiati e divertiti come ragazzi alla conferenza stampa del 63° London Film Festival dove il film è in premiere europea come gala di chiusura.
Un’opera dalla giacenza tutt’altro che semplice, passata dalla Paramount a Netflix con la solita litania di polemiche messe subito a tacere da Scorsese, che parla da cineasta ma anche cultore della Settima Arte: “Quanto sta accadendo nel cinema grazie a Netflix e le varie piattaforme è una rivoluzione totale, quasi superiore all’avvento del sonoro, ma riguarda solo la fruizione non la forza narrativa: quella dipende dalla nostra capacità di raccontare le storie. Quanto al valore inestimabile della visione collettiva vi assicuro che i film uscirà anche nelle sale prima dello streaming, ed anzi spesso sarà contemporaneamente visibile in entrambe le modalità, sarà il pubblico a scegliere”.
Scorsese e De Niro (anche coproduttori del film) non potevano che benedire Netflix perché quel budget, diciamolo, solo il colosso dello streaming ha deciso di concederlo agli adorati ed ormai goldfellas: così The Irishman sarà visibile dal 27 novembre su Netflix con “finestre” nelle sale di selezionate nazioni – fra cui anche l’Italia – dai primi del prossimo mese, dopo l’atteso passaggio capitolino previsto il 21 ottobre alla Festa del cinema.
L’eredità spirituale di Quei bravi ragazzi è volutamente tangibile dalla prima sequenza, chiaro omaggio alla “Copa Shot” con la discesa negli inferi glamour di Henry Hill: ma qui la gioventù luccicante lascia spazio alla vecchiaia incipiente di Frank “the Irish” Sheeran (De Niro) il quale a un certo punto della vita ha scelto di confessare e confessarsi. Il pianosequenza attraversa i corridoi della casa di detenzione ospedaliera in cui l’anziano killer è rinchiuso: un percorso della macchina da presa già carico del simbolismo che nutre il lungometraggio nella sua dolente complessità.
E il tema della perdita è ambivalente perché riguarda sia le vite ammazzate – che passano regolarmente con cartelli – sia la memoria che di esse si conserva. Trattenere tale memoria significa per Frankie venire a patti con una coscienza mai del tutto consapevole: “Ma si può anche dichiararsi dispiaciuti senza sentirsi dispiaciuti”, lo ammonisce il prete che ne raccoglie la confessione.
D’altra parte The Irishmanè il film-confessione di una storia vera. Narrato in voice over dallo stesso Sheeran, ripercorre la sua esistenza dagli Anni 60 fino alla sua morte nel 2003: un sicario mafioso al soldo del boss Russell Bufalino (Joe Pesci da Oscar) ma anche “affiliato” al sindacato del corrotto Jimmy Hoffa (Al Pacino), colui che “nei 50 era famoso come Elvis e nei 60 più dei Beatles” nonché noto avversario del clan Kennedy.
A un certo punto, nel 1975, Frankie deve far fuori Jimmy, al quale era sinceramente affezionato come del resto lo era di Bufalino.
Perché Sheeran aveva la speciale dote di piacere a tutti, con semplicità e poche parole ispirava fiducia e amicizia in chi incontrava: egli era l’amico di reciproci nemici, e per questo il suo destino è stato quello di sopravviver loro, di seppellirne i fantasmi.
Il cinema si è già occupato di Hoffa (ad esempio, Danny De Vito diresse Jack Nicholson in quel ruolo nel 1992 su sceneggiatura di David Mamet), ma il lavoro fatto da Scorsese sceneggiato con Steven Zailian è di un’altra “pasta” e “portata”, oltre che dell’assunzione di Sheeran come punto di vista: la ricognizione storiografica dello sfondo (i vari cadaveri eccellenti da JFK a Luther King e la rivoluzione cubana passano in tv) attraversa il tempo ma soprattutto i volti dei protagonisti, intossicandone le anime e i destini criminali, facendo emergere l’oscurità ancestrale più che la violenza efferata e volgare, così frequentata dal cinema (e tv) sulla mafia italo-americana, il primo Scorsese incluso.
Ma questa non è certo una colpa, semplicemente “a 40 anni si fanno film diversi, oggi la riflessione sulla vita è declinata su altri orizzonti”.
Fotografato dal talento di Rodrigo Prieto, montato da quello della sodale Thelma Shoonmaker, The Irishman è un’opera che resta negli occhi ma anche nelle orecchie, affollandole di silenzi eloquenti. Seppur con alcuni tratti di stanchezza qua e là – ma la perfezione non piace a nessuno – è un racconto esemplare sul tramonto e le derive umane con attimi di sublime (certi sguardi di un assoluto Bob DeNiro…) che non ci scorderemo.