il Fatto Quotidiano, 14 ottobre 2019
Preti sposati per non scomparire
Un uomo sposato può diventare prete. Ma un prete non può sposarsi. Sembrerebbe un mero gioco di parole, tuttavia è una consuetudine millenaria per la tradizione cristiana di liturgia e prassi costantinopolitana. Diffusa anche in Italia e interna alla Chiesa cattolica. L’argomento in questi giorni divide le più alte cariche ecclesiastiche, ma non si tratta di una novità per la Santa Sede. Infatti, nelle chiese sui iuris di tradizione bizantina legate a Roma l’obbligo di celibato come requisito per diventare sacerdoti non è mai esistito. Il sacerdozio è permesso agli uomini coniugati. Ma una volta diventati preti non si può contrarre matrimonio. Dall’impero bizantino in poi, la tradizione orientale ha resistito lungo il corso dei secoli al tentativo di latinizzazione, specie in alcune zone dell’Italia meridionale e centrale, dov’è ancora viva. Ne sono un esempio le diocesi di Lungro in Calabria e di Piana degli Albanesi in Sicilia. Si tratta di comunità Arbëreshë, formate da italo-albanesi.
Secondo il professore Zef Chiaramonte, studioso dei Balcani e cultore di Lingua e letteratura Arbëreshë presso l’Università di Palermo, “gli albanesi raggiunsero il Regno delle Due Sicilie quando il rito italo-bizantino si stava spegnendo”. E ne impedirono la scomparsa. Alla fine del ‘500, con il vescovo Cusconari, ai fedeli fu consentito di mantenere la tradizione costantinopolitana sotto l’egida del Papato. È per questo che, ancora oggi, nei comuni siciliani di Piana degli Albanesi, Contessa Entellina, Mezzojuso, Palazzo Adriano e Santa Cristina Gela, la cultura e la lingua degli Arbëreshë vengono tramandate di generazione in generazione. L’autonomia di questo popolo, erede degli Illiri, era nota già durante l’Impero bizantino. Nelle loro comunità alcuni preti sono sposati e coniugano serenamente il sacerdozio alla vita matrimoniale. La stessa Palermo ospita le liturgie di tradizione bizantina all’interno della Chiesa di San Nicolò alla Martorana. Nel Mezzogiorno altrettanto diffuso è il culto greco-ortodosso, a cui si sono avvicinati oltre ai greci presenti in Italia anche gli immigrati provenienti dai paesi di religione ortodossa, come la Romania, la Georgia e la Russia. Nonostante lo scisma del 1054 tra la Chiesa d’Oriente e Roma, la cultura ellenica dall’Italia meridionale non è mai completamente scomparsa. Non soltanto nella Grecía salentina, dove ancora sono ben riconoscibili influenze millenarie su lingua e costumi. Ma anche nel resto della Puglia, dove risiedono comunità di religione ortodossa. Per verificarlo basta recarsi nella cripta della Basilica di San Nicola a Bari, città storicamente nota per essere la “porta d’Oriente”. Qui il giovedì ci sono gli ortodossi della Chiesa russa e la domenica quelli della Chiesa greca. Il rito è lo stesso, quello bizantino. Tra i papas, letteralmente padri, c’è Arsenio Aghiarsenit di nazionalità greca. Le comunità che segue, a Bari e a Brindisi, sono costituite da poche decine di persone. Per questo di volta in volta, a seconda della nazionalità dei fedeli presenti, sceglie la lingua in cui tenere la divina liturgia. Appartiene alla sacra arcidiocesi d’Italia e Malta, che ha come punto di riferimento nel nostro Paese Venezia ma dipende direttamente dal patriarcato di Costantinopoli. Sacerdote dal ’97, è tra quelli che hanno scelto di non sposarsi e di farsi monaco. Ammette, però, di essere uno dei pochi, perché i preti ortodossi sono per la maggior parte coniugati. “Nel Vangelo – dice – non troviamo riferimenti al celibato forzato. Gli apostoli, incluso Pietro, erano tutti sposati”. Non si tratta quindi di una questione dottrinale, ma “di una normativa canonica imposta dalla Chiesa cattolica”. Tale obbligo avrebbe – a suo dire – un’incidenza notevole sulla frequenza degli scandali perché impone “uno stravolgimento della forza che Dio ha donato all’uomo, cioè l’amore”. Per la Chiesa ortodossa il sacerdozio uxorato è ammesso dai tempi degli apostoli. “I giovani devono essere liberi di scegliere – spiega – anche San Paolo dice che se non riesci a trattenere il fuoco della carne è meglio che ti sposi per non peccare”. Nella tradizione ortodossa è il padre spirituale a dare delle garanzie in merito all’integrità morale e fisica del futuro sacerdote e di sua moglie. A entrambi è richiesto di restare vergini fino al matrimonio. Secondo Aghiarsenit, “imporre qualcosa genera automaticamente una reazione”. Per questo si augura che la Chiesa cattolica “si decida a dare una svolta fondata sulla libertà”.