il Giornale, 14 ottobre 2019
Le bufale degli animalisti sulle sperimentazioni
Dipingono gli scienziati come torturatori che eseguono esperimenti sadici e inutili sugli animali. Organizzano blitz nei laboratori di ricerca e, senza il minimo scrupolo, tentano di mandare all’aria studi che valgono milioni di euro, durano da anni e sono a un passo dal regalarci cure come quella contro le malattie neurodegenerative o l’Alzheimer. Eccoli i movimenti animalisti in salsa populista. Quelli che, scimmiottando il vecchio stile Br, inviano lettere anonime ai ricercatori e infilano proiettili nelle buste. Quelli che diffondono false informazioni ma talmente suggestive da fare presa sulla pancia della gente. Con il risultato che quelle informazioni diventano vere nell’immaginario collettivo e sollevano proteste. Un po’ come già accaduto con i No Vax, che hanno strumentalizzato i falsi allarmi sui vaccini. Ora che in ballo c’è la sperimentazione animale, il prezzo che si rischia di pagare è molto alto. C’è il pericolo che nei laboratori, dove già si devono fare i conti con i fondi (sempre troppo pochi) e le leggi (molto restrittive), si blocchi tutto, a scapito delle cure contro cancro e malattie mortali. E che quella da salvare davvero sia la ricerca, messa in gabbia per colpa di una bufala.
Dopo le proteste di fronte all’università di Bologna nel 2016, il blitz all’università di Ferrara, gli animalisti incatenati di fronte al centro di sperimentazione di Casaccia di Cesano, vicino a Roma, l’ultimo episodio va oltre, con minacce di morte personali a Marco Tamietto, neuroscienziato all’università di Torino, che sta conducendo una ricerca su sei esemplari di macaco per studiare il recupero della vista a pazienti ciechi a seguito di lesioni al cervello. Un lavoro che andrà avanti fino al 2023 e che è stato finanziato dal European research Council con due milioni di euro. Non poco, considerando che l’ente di ricerca concede soldi solo al 10-15% dei progetti che gli vengono sottoposti.
Agli animali viene provocata una lesione agli occhi non invalidante ma che ne limita il campo visivo. Tradotto dalle associazioni di animalisti: «La sperimentazione fa diventare ciechi». E, ovviamente, un concetto del genere riempie le piazze. Che sia falso poco importa, diventa quasi impossibile da sradicare. Da qui minacce (a Marco Tamietto e al suo collega dell’università di Parma, Luca Bonini) e tentativi di mandare all’aria tutto sull’onda dell’emotività. «Solo se saremo uniti potremo salvare i macachi», annuncia la Lav, che da mesi chiede al ministero alla Salute di bloccare il lavoro.
LEGGE A SINGHIOZZO
Il tutto avviene a due mesi da una scadenza cruciale. Da gennaio la ricerca sulle sostanze d’abuso, sui trapianti da animali a uomo, rischia di essere proibita se non verrà modificata la legge in materia di sperimentazione animale. È possibile che venga concessa un’ulteriore proroga di altri tre anni, mandando avanti la ricerca italiana ma a singhiozzo e rischiando di farle perdere la possibilità di partecipare ai bandi europei, che solitamente durano 5 anni. Ecco, in tutto questo, la pressione delle lobby animaliste ha il suo peso.
A rispondere alla campagna anti ricerca, sono gli scienziati. In prima linea c’è Silvio Garattini, fondatore dell’istituto Mario Negri, che difendere quella ricerca «già penalizzata dai tagli e dalla burocrazia». «È ovvio che a nessuno faccia piacere usare gli animali per le sperimentazioni – spiega lo scienziato -. Tuttavia l’80% delle ricerche non è più fatto sugli animali ma sulle cellule. Per esempio, per dosare l’insulina prima si utilizzavano i conigli, ora non servono più, si lavora in vitro. Ma ci sono ricerche in cui le tecniche alternative non sono ancora efficaci e sicure quanto la sperimentazione animale». «Gli animali costano tanto – spiega Pier Luigi Lopalco, professore di Igiene all’università di Pisa e presidente del Patto trasversale per la scienza – vanno accuditi, puliti, monitorati, curati. Ovviamente la coltura cellulare è meno impegnativa ma in alcuni campi non abbiamo alternativa. In ogni caso vorrei mettere in chiaro che nei laboratori gli animali (penso ai maiali) vengono trattati molto meglio che negli allevamenti e a nessuno di noi passerebbe per la mente di maltrattarli. Ma diffondere l’idea della tortura in laboratorio è la via più facile per avere consenso politico. E gli animalisti lo sanno. Tanto che usano ancora la parola vivisezione, che in realtà non esiste più da tempo».
E SE NON FOSSE AMORE?
Viene da chiedersi se agli animalisti interessi davvero la sorte degli animali. Si pensi al blitz del 2013 all’università statale, quando gli attivisti del coordinamento Fermare Green Hill mandarono all’aria anni di studi su Alzheimer, Parkinson, autismo e sclerosi multipla cambiando di gabbia 200 roditori e una decina di conigli e cercando di liberarli. Risultato: il danno è stato doppio. Alla ricerca, da rifare da capo, e agli animali, che in realtà non sono stati affatto salvati. «Gli animalisti diffondono notizie false e alimentano campagne di sospetto e odio – denunciano gli scienziati italiani nel Manifesto a difesa della sperimentazione animale -. Rappresentano meno del 3% della popolazione ma esercitano una crescente pressione sull’opinione pubblica, sulla politica e sulla società».
L’Italia è il paese con la legislazione più restrittiva d’Europa in materia di tutela di animali utilizzati a fini scientifici. «Se dobbiamo effettuare uno studio su un uomo – spiega Garattini – chiediamo al comitato etico e procediamo. Se dobbiamo effettuarlo su un topo è tutto più complicato e le autorizzazioni arrivano parecchi mesi dopo rispetto agli altri paesi europei. In questo modo abbiamo difficoltà a dare continuità alla ricerca e rischiamo di non potere intraprendere collaborazioni internazionali».