Libero, 14 ottobre 2019
Intervista ad Alessandro Haber
Qualunque maschio avrebbe voluto essere lì, al posto di Alessandro Haber, seduto in carrozzina, a prendersi il bacio di una super sexy Monica Bellucci. A lui la fortuna è capitata giovedì scorso, nella seconda puntata del programma Maledetti amici miei su Rai Due, condotto insieme al regista Giovanni Veronesi («la persona con cui più mi confido») e ai colleghi attori Sergio Rubini e Rocco Papaleo. Un ritrovo goliardico tra compari, un po’ in stile Gino Paoli (eravamo quattro amici al bar) un po’ in stile Monicelli (Amici miei, appunto), in cui non mancano momenti di poesia e passaggi di ironico erotismo. Haber, mi dica la verità. Dopo un bacio con la Bellucci si può anche morire felici?
«Ma sai, i baci veri ormai li abbiamo già dati. Questi sono baci dati davanti a un pubblico, un resoconto labile di quelli veri... E poi la Bellucci la conosco da tanti anni: aveva 23 anni, venne a vedere un mio spettacolo, mi abbracciò e nacque una simpatia. Ma è rimasta tale. L’ho sempre considerata una di quelle donne talmente belle da essere irraggiungibili: quando una è così bella ti sembra di non avere la forza per conquistarla, anche perché sai che finirà con un due di picche».
Ha detto di essersi molto eccitato per quel bacio. Solo finzione?
«Non c’era niente di vero, era solo una battuta. In generale quando baci non provi piacere. È come quando passa una donna e le tocchi il culo: non provi mica piacere. A maggior ragione se quel bacio è solo un gioco, il tuo lavoro fatto con ironia. Anche quando fai una scena di sesso in un film non senti un cazzo. La verità è che noi attori cerchiamo di dare verità a qualcosa che non esiste».
Sul web molti hanno definito sessista il modo in cui è stata trattata la Bellucci nel programma, con la lettura di commenti piccanti a lei rivolti. Ormai è vietato fare qualsiasi apprezzamento a una donna?
«Chi vede sessismo ovunque è ridicolo, ha problemi seri. Quei commenti le erano veramente arrivati, e noi abbiamo fatto una selezione, scegliendo i più soft, e con lei abbiamo costruito quel gioco. La gente si scandalizza, ma non capisce che sui social tutti commentano e possono accedere a tutto. Noi da ragazzini ci toccavamo guardando al più un giornaletto olandese dove si vedevano le tette, oggi invece i ragazzi hanno ogni cosa a portata di mano».
Questo atteggiamento moralistico è figlio del movimento femminista Me Too?
«Sì, credo che dopo il Me Too tutto sia esagerato ed esasperato. Non si può più fare la corte a una donna. La violenza è sempre da condannare, ma continuo a non capire gli atteggiamenti bigotti».
Lei ha la fama di essere un grande amatore. C’è stata una donna che le ha fatto perdere la testa?
«Mi sono innamorato poche volte e quelle volte ho sofferto. Mi piace anche soffrire perché la sofferenza mi aiuta a riflettere e mi consente di trasferire ciò che provo nel lavoro, che è la mia vera droga. Una donna che mi ha segnato è stata Giuliana De Sio: siamo stati insieme 3 anni, io avevo 29 anni, lei 19, poi si è rotto qualcosa per colpa di entrambi. Non siamo riusciti a rimediare, perché è la storia di tutti amarsi, lasciarsi, ferirsi. Con lei ci siamo risentiti, ma solo da amici».
Nel programma viene fuori un Haber poliedrico: recita, fa commuovere, legge poesie e canta. Se non fosse stato attore, avrebbe fatto il cantante?
«La musica è anche recitazione, è tempi e controtempi, è ritmo e pause. Io non canto solo una canzone, ma la interpreto, la recito, come spero di fare in un concerto che terrò il 6 dicembre al Parco della Musica a Roma. E poi in una canzone conta la partitura musicale, non hai bisogno di traduzione anche se il testo è scritto in un’altra lingua. Cantare mi fa godere, oggi ancor più che andare con una donna».
In un monologo ha ricordato quella volta in cui chiese a sua mamma se avesse mai fatto un pompino a suo papà. Andarono così le cose?
«In tutto quello che racconto c’è qualcosa di romanzato, ma almeno la metà è vera. E quella volta a mia mamma domandai: “Ma tu e papà le fate... quelle cosette lì?”. Lei era di origine contadina, ma sapeva come ero fatto, senza peli sulla lingua, e sapeva come gestirmi. “Ma cosa dici, Sandrino!”, mi fece. Conosceva il mio carattere e, agli inizi della carriera, quando mi vedeva insofferente perché non lavoravo molto, mi invitava spesso a cambiare mestiere: “Non so se sei bravo”, faceva. Poi una volta, a uno spettacolo in cui recitavo con Gassman, Vitti, Proietti, lei sentì quei mostri sacri commentare all’intervallo “Oh, che talento che ha Haber”. Da allora mi ha lasciato fare e non ha più rotto i coglioni (ride)».
Nella prima puntata del programma lei ha dato della “merda” a Verdone perché non l’ha mai chiamata a recitare in un suo film. Vi siete chiariti?
«Ma cosa me ne frega, certo mi sarebbe piaciuto recitare in un suo film ma non è che mi cambia la vita».
Verdone dice che lei è più che altro un attore di teatro.
«Ma se ho fatto 140 film, diretto anche da giganti come Monicelli, Tornatore, Avati! La verità è che io uso il cinema a teatro e viceversa perché, nell’uno e nell’altro, non recito ma vivo».
Maledetti amici miei è una chicca nel panorama tv. Eppure gli ascolti sono bassini, poco sopra il 4%. Come mai? La qualità non paga?
«RaiDue è la rete più bistrattata e, di certo, non ci aiuta l’approfondimento dopo il Tg2. Lo share in quella fascia cala dal 6 al 3% e per tirarlo su ce ne vuole. E poi c’è la concorrenza: è difficile che la gente si distacchi da un programma consolidato come Un passo dal cielo su RaiUno. E comunque chissenefrega: al di là degli ascolti, il gradimento per il programma è notevole. E avere 1 milione di telespettatori non è poco».
Subito dopo Haber richiama: «Non ti ho detto dell’amicizia. Questo programma non ci sarebbe stato se non fossimo stati amici. Io, Giovanni, Rocco, Sergio siamo complici, fatti l’uno per l’altro. E il nostro rapporto si è consolidato durante quest’esperienza. Io credo molto nell’amicizia: il tradimento di un partner lo devi mettere in conto, quello di un amico no. Ed essere buoni amici è il segreto per fare buoni programmi».