Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  ottobre 13 Domenica calendario

Il cibo straniero è tossico

Il tonno spagnolo ricco di mercurio, lo sgombro francese infestato dai vermi, le confezioni dei cibi cinesi che rilasciano cromo, nichel e manganese. E poi ancora le aflatossine dei pistacchi turchi, delle mandorle americane e delle arachidi egiziane, la salmonella dei polli polacchi e ungheresi... L’elenco dei cibi pericolosi finiti nei nostri piatti in questo 2019 è lunghissimo. Nei primi nove mesi dell’anno la Coldiretti ha contato 281 notifiche di alimenti nocivi inviate all’Unione europea: nell’83% dei casi i prodotti interessati sono stati importati dall’estero, in 124 casi da altri Paesi dell’Ue (il 44% del totale) e in 108 casi da Paesi extracomunitari (39%). I rischi arrivano soprattutto dalla Spagna: 54 notifiche relative soprattutto a pesci contaminati da mercurio (tonno e pescespada) e a cozze con l’Escherichia Coli. Segue la Cina, con 28 notifiche: in questo caso il problema è il contatto degli alimenti con materiali che rilasciano metalli come cromo, nichel, manganese, formaldeide. Della Turchia (22 notifiche) preoccupano le aflatossine cancerogene contenute nella frutta in guscio come i pistacchi. La classifica dei Paesi più “pericolosi” continua quindi con la Francia (21 segnalazioni, soprattutto di pesci, in particolare sgombri, contaminati da un parassita) e prosegue con Stati Uniti (13 notifiche, nel mirino pistacchi e mandorle), Polonia (11), Egitto (9), Argentina (7), Brasile (6) e Ungheria (6). Se l’alta percentuale di cibi nocivi cinesi e turchi è significativa per via delle proporzioni (da Pechino e Ankara arriva soltanto, rispettivamente, il 2% e l’1% del valore delle importazioni agroalimentari), la presenza nelle posizioni alte della classifica di Paesi come Spagna e Francia mette in evidenza come la legislazione europea su questo tema non garantisce condizioni di qualità uniformi. «Un singolo Stato può avere interesse a mantenere bassi standard qualitativi, per esempio per sostenere l’industria o l’agricoltura nazionale», spiegava tempo fa sul Sole 24 Ore Antonino Vaccaro, professore alla Iese Business School, presentando una ricerca sulla sicurezza alimentare nella Ue. «Una parte del problema spagnolo», continuava, «potrebbe essere legato alle importazioni di derrate alimentari dal Nord Africa che poi vengono rivendute come prodotti iberici nel resto d’Europa». A rimetterci, sul piano della concorrenzialità dei prezzi, rischiano di essere proprio Paesi come il nostro, che sulla sicurezza alimentare offrono maggiori garanzie. Proprio pochi giorni fa, il ministero della Salute certificava che il piano nazionale di controllo dei prodotti alimentari di origine animale aveva riscontrato la presenza di residui farmacologici solo nello 0,1% dei casi. Mentre gli ortaggi stranieri che circolano nel nostro Paese presentano tracce di prodotti fitosanitari quasi cinque volte superiori rispetto a quelle nei prodotti italiani. Il binomio liberalizzazione dei commerci mondiali-controlli poco accurati (soprattutto presso i grandi porti dei Paesi importatori del Nord Europa) comporta per l’Italia un altro pericolo. Ad attraversare la nostra frontiera non sono soltanto cibi poco salubri ma pure insetti in grado di devastare i nostri raccolti: insetti il cui aumento viene poi magari messo in conto al cambiamento climatico. Il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, ha puntato spesso il dito contro «il sistema di controllo dell’Unione europea con frontiere colabrodo come quella del porto di Rotterdam».
«La Ue» – è la denuncia – «consente l’ingresso di prodotti agroalimentari e florovivaistici senza che siano applicate le stesse cautele e quarantene che devono invece superare i prodotti nazionali quando vengono esportati, dopo estenuanti negoziati e dossier che durano anni». Ecco pertanto che, nascosti nelle cassette della frutta o nelle tasche delle giacche o dei pantaloni dei viaggiatori, viaggiano “invasori” come la cimice asiatica, che ha devastato le pere e le pesche del Nord Italia con danni fino a 350 milioni di euro, il calabrone asiatico e il coleottero africano che mandano alla malora il miele, il moscerino dagli occhi rossi (cinese) che scempia lamponi ciliegie e uva, la vespa del castagno (cinese anche lei) che flagella i marroni.