il Fatto Quotidiano, 13 ottobre 2019
Storia del popolo curdo
Se è vero, come sottolinea il detto popolare, che “i curdi non hanno amici a parte le montagne”, essendo sempre stati traditi da tutte le potenze straniere ed essendosi divisi a propria volta in fazioni fino al punto di scontrarsi, come avvenne in Iraq agli inizi degli anni 90, è altrettanto vero che la svolta confederalista democratica di Abdullah Ocalan, avvenuta più di dieci anni fa, ha compattato i curdi di nazionalità turca e siriana. Messi assieme i curdi che vivono in Turchia e Siria formano la maggioranza degli attuali 40 milioni circa di persone di questa etnia indoeuropea, sparse per l’appunto, tra Turchia, Siria, Iraq, Iran e Armenia. Si tratta della più grande popolazione al mondo con una lingua propria, ma senza uno Stato e solo nel nord dell’Iraq, dopo la caduta di Saddam nel 2003, è riuscita a ottenere ufficialmente una sorta di autonomia dallo Stato centrale.
Il Kurdistan siriano, conosciuto come Rojava, con l’inizio della guerra civile siriana nel 2011, ha invece acquisito un’autonomia politica de facto, anche se non è ufficialmente riconosciuto come regione autonoma all’interno della Siria. Autonomia ora messa in pericolo dall’aggressione turca e dal tentativo del presidente-dittatore Assad di strumentalizzare questa invasione per riportare i 3 milioni di curdi di nazionalità siriana sotto la propria ala.
Il popolo curdo è di origine indoeuropea, la sua storia inizia nel 612 a.C. con la distruzione di Ninive – oggi una regione dell’Iraq – da parte dei Medi. La storia antica e moderna dei curdi è un susseguirsi di guerre e di conquiste. La data più significativa della loro storia moderna fu il 1920 quando, in occasione del Trattato di Sèvres, firmato tra le potenze alleate della Grande Guerra e l’Impero Ottomano, ai curdi venne promessa la concessione di uno Stato autonomo. Peccato che Regno Unito, Francia e Usa non mantennero la promessa e diedero il via libera alla creazione di altri Stati nella zona. Nel 1923, il generale Mustafa Kemal, noto come Ataturk, dopo avere fondato la Turchia moderna iniziò una pesante repressione militare, costringendo la popolazione curda a rinnegare la propria lingua e “turchificare” i nomi propri e la toponomastica. Il secondo grande inganno avvenne nel 1946 quando l’Unione sovietica, nel tentativo di annettere l’Iran settentrionale e, per incalzare le autorità locali, incoraggiò i curdi a fondare uno Stato autonomo: la Repubblica di Mahabad, rasa al suolo appena i sovietici si ritirano. Nel 1972 lo Scià di Persia, Mohammad Reza Pahlavi, chiese al presidente statunitense Richard Nixon di sostenere la rivolta dei curdi in Iraq. Nixon acconsentì e li armò con l’obiettivo di minare la stabilità dell’allora filo-sovietico Iraq.
Nel 1975, il sovrano persiano strinse un accordo con l’Iraq e gli Stati Uniti abbandonano i curdi al loro destino. Tre anni dopo, Ocalan, curdo di cittadinanza turca, fondò il Partito dei lavoratori del Kurdistan (il Pkk). La sua missione allora era la creazione di una repubblica indipendente curda, da raggiungere anche con il ricorso alla lotta armata. Nel 1984 il Pkk si insediò nell’Iraq settentrionale, trasformandolo nell’avamposto per una guerriglia contro la Turchia. Il conflitto, che dura ancora oggi – dopo una tregua di due anni indetta da Ocalan nel 2013 dal carcere di Imrali dove sta scontando numerosi ergastoli – ha fatto più di 30 mila vittime. Nel 1987-1988, durante gli ultimi giorni del conflitto Iran-Iraq, Saddam Hussein diede inizio a un genocidio contro la popolazione curda che culminò nell’attacco chimico ad Halabja dove si registrarono almeno 5 mila vittime. Nel 1991, il presidente americano Bush appoggiò una nuova rivolta curda nel nord dell’Iraq, repressa nel sangue da Saddam. Centinaia di migliaia di curdi furono costretti alla fuga sulle montagne al confine tra Turchia e Iraq, molti andarono a Sinjar dove vivevano già molti yazidi. Gli Stati Uniti imposero una no-fly zone per evitarne il bombardamento. L’accordo è rimasto in vigore fino all’invasione americana dell’Iraq nel 2003. Il nord della Siria, al confine con la Turchia, chiamata Rojava che ha proclamato durante la guerra civile siriana una autonomia federalista democratica – non indipendente – basata sulla sui diritti umani sanciti dalle Convenzioni internazionali. Prima che l’esercito turco invadesse lo scorso anno il cantone di Afrin e ora il resto del Rojava, qui si stava realizzando una rivoluzione socio-politica da molti analisti paragonano alla rivoluzione francese nel mondo occidentale. Il Contratto Sociale del Rojava è una carta costituzionale di una modernità senza paragoni. Appena oltre il confine orientale del Rojava, nel Kurdistan iracheno, solo i sostenitori del Puk, il partito patriottico fondato dal defunto Jalal Talabani, sono solidali con i curdi turchi e siriani. La divisione tra curdi è frutto del divide et impera di romana memoria.