Il Sole 24 Ore, 13 ottobre 2019
Il mercato dell’arte durante l’occupazione nazista in Francia
Non era mai stato così effervescente il mercato dell’arte a Parigi, quasi un anticipo di riscaldamento globale tanto la bellezza dei quadri nelle sale dell’Hôtel Drouot incendiava l’aria. E in una città svuotata dalla fame, quanta gente sotto il podio del battitore, quanta eccitazione il 10 marzo del 1944 alla vista di un quadro di Henri Matisse, Femmes et fleurs, aggiudicato a 300.000 franchi. E quanto era stato facile cancellare l’origine di quella magnifica tela, proveniente dalla collezione di Paul Rosenberg. E dunque quanto equilibrio ha avuto Emmanuelle Polack, storica dell’arte e massima esperta dell’arte sotto l’Occupazione, per lasciare che siano i fatti e non le emozioni a tenerci incollati alle pagine del suo libro, Le marché de l’art sous l’Occupation 1940-1944, da cui ha tratto una mostra con lo stesso titolo, che in questi giorni registra il record di visitatori al Mémorial de la Shoah di Parigi.
Per ricostruire l’immagine più completa delle spogliazioni di cui sono stati vittime gli ebrei, Emmanuelle Polack ha lavorato otto anni, ha ripercorso quanto era stato scritto da Rose Valland, Laurence Bertrand Dorléac ed Héctor Feliciano, ed è giunta a conclusioni inedite grazie a un evento imprevisto. Nel 2013, in un appartamento del quartiere Schwabing a Monaco, ricompare l’incredibile collezione di Cornelius Gurlitt, ereditata dal padre Hildebrand, storico dell’arte e incaricato da Joseph Goebbels di vendere le opere della cosiddetta “arte degenerata”. Circa millecinquecento quadri, che nel suo testamento Cornelius affida al Kunstmuseum di Berna. Un’eredità ingombrante persino in Svizzera. Per valutarla viene creata un’equipe europea e americana di storici dell’arte, la Task Force Schwabinger Kunstfund, che dal 2013 al 2017 fa luce su ogni opera e ne ricerca l’antico proprietario. Emmanuelle Polack è una degli esperti convocati e a quel punto, in quanto studiosa “internazionale”, ha accesso ad archivi francesi fino allora secretati. Le indagini, non solo sulla collezione Gurlitt ma sull’intero sistema di spogliazione, ricostruiscono l’ampiezza e la sistematicità dei saccheggi. E le complicità.
È difficile leggere il saggio di questa straordinaria monument woman e visitare la mostra, tra documenti rari e ritratti di galleristi, da Pierre Loeb a Paul Rosenberg, da René Gimpel a Berthe Weill, e non commuoversi. E invece è proprio la compostezza e la solidità della studiosa, che parla sottovoce nella caffetteria del Memorial tra i libri e i volti di Simone Veil e Primo Levi, a indicare la via e «a tendere la mano perché si possa lavorare insieme alla riparazione», dice. Da dove ripartire? «Dalle famiglie. Le ascoltiamo davvero le famiglie quando ci ricordano che dietro un quadro c’è l’identità e la memoria di chi non esiste più? Le ascoltiamo quando ci spiegano che le spogliazioni e l’arianizzazione sono parte della Soluzione finale? Questi quadri sono testimoni silenziosi di quanto è successo. Oggi abbiamo ancora la possibilità di fare qualcosa, di aiutare, ed è questo che mi interessa. Mi interessa il tempo che rimane».
Anche i nazisti, appena conquistata Parigi, sapevano che bisognava fare in fretta e già nelle prime settimane di occupazione nell’estate del ’40 ispezionano i negozi d’arte e d’antiquariato di proprietà di ebrei. Il 21 giugno Walter Andreas Hofer, curatore della collezione di Hermann Göring, visita insieme al capo della polizia di Parigi, Georges Chain, le gallerie di Place Vendôme e quattro giorni dopo quella di Paul Rosenberg al 21 di rue de la Boétie. Il 30 giugno il generale Keitel, comandante della Wehrmacht, informa il generale von Vollard-Bockelberg, comandante di Parigi, che il «Führer ha dato l’ordine di mettere in sicurezza gli oggetti d’arte di proprietà di privati, soprattutto ebrei». La sedicente messa in sicurezza apre il 1° luglio alla legalizzazione dei sequestri. A settembre giunge a Parigi Alfred Rosenberg, ideologo del Terzo Reich, incaricato di recuperare le opere d’arte confiscate tramite l’unità speciale che porta il suo nome, l’ERR, Einsatzstab Reichsleiter Rosenberg. I quadri sono trasportati al Louvre, poi al Jeu de Paume e lì divisi, quelli di arte antica da una parte, quelli di arte moderna dall’altra. È la famosa Salle de Martyrs. Una fotografia, scattata il 3 dicembre 1941, sorprende Göring insieme a Bruno Lohse, suo agente a Parigi e capo in seconda dell’ERR, di fronte a quattro Matisse della collezione Rosenberg e uno di questi è la tela Femmes et fleures. Quattro Matisse “degenerati” da offrire sul mercato per fare cassa e acquistare opere più degne.
Che Matisse fosse un zazouvrier-pasticheur lo scriveva anche René Mosdyc, commerciante con la passione della caricatura e recensore della rubrica «L’art zazou», pubblicata sul settimanale «Au Pilori» “alla gogna”, uno dei giornali più antisemiti della stampa francese, a cui collaborano anche Louis-Ferdinand Céline e Robert Jullien Courtine, futuro critico culinario di Le Monde. Il 5 giugno 1941 su «Au Pilori» appare l’augurio che la sala vendita di Drouot sia vietata agli ebrei, augurio che diventa legge il 17 luglio. I curatori dei musei tedeschi, dal Kunstverein di Colonia al Folkwang Museum di Essen, e i mercanti, da Gurlitt a Lohse, sono invece benvenuti. Nessuna casa d’asta del resto aveva mai potuto contare su una tale quantità di tele, porcellane, mobili, pellicce, vini pregiati, persino povere macchine per cucire, e moltissimi dei due milioni di oggetti sottratti agli ebrei, di cui 100mila opere d’arte, sono passati di qui.
L’indomani della Liberazione, con la stessa velocità con cui aveva accolto lo stato maggiore nazista, Drouot cambia bandiera e organizza una serie di vendite a favore dei prigionieri, degli orfani, dei deportati. Un anno dopo, nel 1945, un certo Monsieur Robert Israel, residente al 105 di Avenue d’Orleans, riceve una lettera, che Emmanuelle Polack ha ritrovato. La missiva conteneva una circolare inviata alle famiglie ebree private dei loro beni. Ma all’epoca c’è penuria di carta e bisogna riciclare le buste del Commissariat général aux questions Juives. Un timbro per cancellare l’intestazione del vecchio ufficio, e sotto un altro timbro con il nuovo ente, Ministère des finances – service restitutions. E i funzionari, sempre gli stessi, che timbro avranno messo sulla loro coscienza?