Il Sole 24 Ore, 13 ottobre 2019
Legge di Bilancio, mancano 2-3 miliardi
Un menù di richieste e possibili interventi troppo ricco per una manovra quasi interamente ipotecata dallo stop totale agli aumenti Iva. E con la griglia delle coperture perennemente incompleta: ancora ieri, secondo alcuni tecnici risultavano ancora da trovare 2-3 miliardi. Anche per questo motivo, ma non solo, la tensione nella maggioranza sale in maniera direttamente proporzionale al count down per il varo del decreto fiscale e del documento programmatico di bilancio (da inviare a Bruxelles il 15 ottobre) all’ordine del giorno del Consiglio dei ministri annunciato per domani ma che potrebbe slittare a martedì mattina, ovvero all’ultimo giorno utile. Entro il 20 ottobre dovrà poi essere inviata alle Camere la legge di bilancio vera e propria. Non si annuncia insomma affatto in discesa il vertice atteso oggi, probabilmente in serata, a Palazzo Chigi per affrontare le tante questioni ancora aperte.
La difficile caccia alle risorse per soddisfare le richieste dei singoli partiti fa emergere distanze su alcuni snodi chiave, fin qui coperte dal programma illustrato da Giuseppe Conte nel chiedere la fiducia al Parlamento per il governo “giallo rosso”. È il caso, ad esempio, della stretta alle finestre di Quota 100, non osteggiata dal Pd e da Italia viva ma non gradita ai Cinque stelle e a Leu, oltre che ai sindacati. Mentre i pentastellati provano a rivendicare la paternità della proroga di un anno di Opzione donna, una delle poche misure certe sul versante previdenziale, la ministra Nunzia Catalfo prende le distanze da possibili ritocchi ai pensionamenti anticipati con 62 anni di età e 38 anni di contributi affermando che «non sono all’ordine del giorno modifiche». Eppure proprio Catalfo ha sondato Cgil, Cisl e Uil nel round di venerdì su un possibile mini-restyling delle finestre d’uscita. Intervento che potrebbe garantire non meno di 5-600 milioni il prossimo anno (un miliardo a regime), di fatto indispensabili per rivalutare le pensioni o allargare la platea dei pensionati che beneficiano della cosiddetta “quattordicesima” e magari anche detassare del 10% tutti gli aumenti contrattuali. Tutte misure su cui spingono Leu e almeno una parte del M5S.
Ma le distanze nella maggioranza si materializzano anche sulla strategia da adottare per alcuni capitoli chiave della manovra. A partire dal taglio del cuneo. Con il Pd che preferirebbe una trasformazione in detrazione fiscale degli 80 euro da garantire ai lavoratori con reddito annuo fino a 35mila euro. Il M5S punta invece su una misura limitata ai lavoratori con un reddito inferiore ai 26mila euro in cui includere però i cosiddetti “incapienti”, sulla quale comunque i Democratici non accenderebbero a priori il semaforo rosso.
Le posizioni sono tutt’altro che allineate anche sul terreno fiscale. I Cinque stelle spingono per il ritorno alle “manette agli evasori” con un pacchetto di misure che non affascina però Pd e Leu. E lo stesso ministero dell’Economia, guidato da Roberto Gualtieri (Pd), nicchia. Anche perché riproporre il carcere per gli evasori rischierebbe di produrre un effetto boomerang in termini di attrattiva per gli investimenti esteri e, allo stesso tempo, ingolferebbe ulteriormente le Procure senza garantire i risultati attesi. Un compromesso non appare semplice. Sul fisco un secco stop è già arrivato dal M5S all’idea di introdurre una tassa sui telefonini, che trovava non pochi sostenitori in altri settori della maggioranza, Pd compreso. L’operazione è stata bloccata sul nascere sulla falsariga di quanto accaduto per la rimodulazione dell’Iva, rimasta, almeno per il momento, al palo per il no di Italia viva, contraria anche al “cashback”, e Cinque stelle.