La Stampa, 13 ottobre 2019
Intervista a Makkox
TORINO. Diego Bianchi in trasmissione lo chiama «genio», ed effettivamente moltissime delle intuizioni di Makkox, al secolo Marco Dambrosio, profumano di genialità. La sua penna e il suo acume sono tra i punti di forza di Propaganda Live (e prima di Gazebo), in onda ogni venerdì sera su La7 e i suoi disegni arricchiscono la produzione di diverse testate, online e su carta. Oggi alle 18 sarà ospite del Festival dell’Innovazione e della Scienza di Settimo Torinese. Un’occasione per raccontarsi in un contesto insolito come la Biblioteca mulimediale Archimede.
Makkox, il tema dell’edizione 2019 è il tempo. Che rapporto ha con il quotidiano e con il tempo che passa?
«Io sono uno di quelli che guardano all’indietro. Le cose belle sono solo quelle che appartengono al passato, ho un approccio alla vita nostalgico. Allo stesso momento però amo la tecnologia, quando esce qualcosa di nuovo devo averlo: dai videogiochi agli occhiali 3d. Nel quotidiano, anche se sembro disordinato, sono invece molto preciso, attento agli orari e alle consegne. Sai quanti con più talento di me ma scarso rispetto per la puntualità adesso fanno i madonnari?»
Nessun problema con l’età che avanza?
«Ma no, non mi guardo allo specchio con sensazione di morte e depressione. Anche se mi fa impressione la scena del metro di Nanni Moretti in Aprile, più che altro perché adoro la trasformazione del dato in immagini. È lo stesso meccanismo che mi ha fatto mostrare con un disegno che se tutti gli uomini stessero in piedi uno accanto all’altro, occuperebbero 10 miliardi di metri quadrati, l’equivalente della superfice della Basilicata. Capite quanto spazio c’è sulla Terra? Come si fa a parlare di invasione?».
In una recente intervista ha raccontato di essere stato un arrabbiato. A vederla oggi, non sembra in grado di odiare.
«Scelgo di non coltivare il rancore perché ti porta via tempo, però ci sono stati periodi in cui le cose non andavano bene. Hai solo voglia di mordere. A casa non andava bene e volevo sfangarmela da solo. Non avevo istruzione, quindi ho iniziato dai lavori manuali. E lì è una giungla. Quindi quando vedo gli arrabbiati un po’ li capisco. Anche se non li giustifico».
Quand’è che si è accorto che poteva vivere con la matita in mano?
«Molto tardi, avevo più di quarant’anni. La prima volta che mi pagarono per un fumetto sul web, erano cento euro, non ci potevo credere. Poi da lì è stato tutto molto rapido e ho iniziato a lavorare tanto».
Conoscere Diego Bianchi è stata la svolta?
«Sicuramente. Anche se non la prima. Luca Bizzarri mi chiamò a fare l’autore di Scherzi a parte su Canale 5. Per me era la prima volta e non mi piacque per niente. Ero nella squadra di Beppe Caschetto, mi voleva mandare a Ballando con le stelle. Ringraziai a tornai a casa a fare i fumetti: “campare, campo lo stesso” mi dissi. Dopo un anno arrivò la chiamata di Diego».
Ma vi conoscevate?
«Sul web in quegli anni ci si conosceva tutti. Tra gli autori c’era un mio carissimo amico, Antonio Sofi. Trovai un posto in cui si parlava il mio linguaggio, mi sentii a casa. All’inizio disegnavo e basta, poi sono diventato una specie di co-conduttore. Ho iniziato a fare in studio quello che facevo nelle riunioni di redazione. Lo scambio tra me e Diego funziona perché siamo così nella realtà».
Credo che una delle cose che piacciono di più dei suoi lavori sia la capacità di coniugare alla satira una certa poetica. Dico bene?
«Ho un innato senso di empatia. Non riesco a condannare definitivamente nessuno. Vabbe’ ad esclusione dei casi limite, tipo Brusca… Però anche del peggiore sui cui faccio satira penso sempre che è un essere umano con i suoi problemi. È cattivo solo perché c’è qualcosa che lo incattivisce, come era per me. Penso che è uno che se potesse, si farebbe un gran pianto e dopo tornerebbe buono. Sapete una cosa? Se potessi io la satira politica non la farei proprio, a me interessa l’avventura umana. Ma fare satira politica paga. Però nei miei cartoon provo sempre a infilare altro».
Nei suoi cartoon c’è sempre un’attenta scelta musicale, la fa lei?
«Quella è la prima cosa. Parto sempre dalla musica, la metto in sottofondo e adatto il disegno a lei. Ho la capacità di ricordare qualsiasi musica mai sentita in un film. Perché la mia vera passione è il cinema, non i fumetti».
E non le piacerebbe fare un film come regista?
«Non lo so, ho troppo rispetto per quel mestiere. Domenico Procacci mi ha detto di pensarci. Un’idea ce l’ho: i vignettisti stanno tutti a sinistra, quelli a destra sono scarsi. L’unica eccezione è Osho che ha trovato un suo format. Ecco nel mio film ci sono io che faccio una scuola di disegno per fasci, per insegnare loro il bello. Ma niente da fare, a Procacci st’idea non piace».