La Stampa, 13 ottobre 2019
Le Dame della Juventus
I giocatori di tutte le categorie dovevano attenersi a un preciso codice di comportamento. La rivista sociale (Hurrà!) abbondava di raccomandazioni: li ammoniva a non trascurare i loro doveri scolastici e a preparare bene gli esami («Avrete reso allo sport il migliore dei servigi dimostrando che lo si può benissimo conciliare con lo studio e col lavoro») e nella rubrica intitolata «Riflessioni medico sportive» dava loro adeguati consigli igienici: «L’abuso dell’alcool determina gravi alterazioni del sistema nervoso, con depressione della volontà, cosicché, quando non si riesce più a reagire personalmente, anche un consiglio non è più sufficiente a trattenere un amico dal baratro che a poco a poco si scava». I celibi, in particolare, erano messi in guardia in modo velato dai pericoli delle malattie veneree: «Agli scapoli, poi, la prudenza non deve far difetto, altrimenti... sunt lacrimae».
Parte integrante dello «stile» Juventus fu anche la codificazione di questa complessiva normalizzazione degli slanci adolescenziali dei primi anni. Prendendo le distanze dalle intemperanze dei tifosi di provincia, Hurrà!, nel dicembre 1921, scriveva: «Per il nostro pubblico il football è uno spettacolo, in provincia è una passione fanatica; per una nostra squadra vincere è un piacere, in provincia è una frenesia; pei nostri soci il football è un’abitudine od un passatempo a buon mercato, in provincia è una missione, un apostolato; per tutti noi la divisa è un contrassegno, mentre in provincia è una bandiera». La società si sforzò di assumere un profilo quasi pedagogico, arrivando, nel gennaio 1922, a distribuire all’ingresso volantini agli spettatori, con stampate, da un lato, «le tre regole controverse, il fuorigioco, il calcio di rigore, il gioco brutale» e, dall’altro, «tre caldi inviti rivolti al pubblico, rispetto e fiducia nell’arbitro, applaudire tutte le belle fasi da qualsiasi parte esse vengano, incoraggiare i giocatori invece di eccitarli».
Sussulti di perbenismo affioravano ora sempre più insistentemente sulle vecchie pagine interventiste di Hurrà! e la «normalizzazione» investiva soprattutto le donne, che pure erano state accolte, fin dall’inizio, senza nessuna remora: «Francamente», scriveva Edgardo Minoli, «o signorine gentili, l’anima latina dei vostri ammiratori rifugge dall’idea di vedervi tirare calci con furore e con sudore ancora più abbondante . Meglio, meglio che - dalla Tribuna - voi incoraggiate col trepido fervore l’atleta - l’uomo che rincorre e cerca con affanno la vittoria». E sullo stesso numero del giornale «una delle Dame Patronesse più in vista», che si firmava «La Vestale», ritagliava alle «consorelle juventine» un ruolo ancora più esplicito: «Nessuna di noi deve ignorare quanti locali di orgia e di depravazione esistano in questa nostra Torino, dove annegano tante belle speranze e dove tante energie magnifiche si sciupano, si viziano e si ammalano! Sta a noi incanalare le esuberanze giovanili dell’altro sesso all’amore per lo sport che è forza, che è vita».
La presenza delle dame patronesse, sancita da una modifica di statuto approvata già nel luglio del 1919, veniva a conferire un aspetto più frivolo a una sociabilità essenzialmente maschile, inducendo gli osservatori a sottolineare il carattere elegante e scelto del pubblico juventino. Per dare un’idea del clima, si possono citare i «ringraziamenti vivissimi» rivolti nell’aprile 1919 da Hurrà! «al Conte ed alla Contessa Rignon che, con l’abituale cortesia e signorilità, misero a disposizione le loro magnifiche serre per ornare il campo in occasione della gara contro la Squadra inglese».
Ogni atteggiamento scomposto viene stigmatizzato, e l’insistenza sui comportamenti corretti di giocatori e tifosi ricorre spesso: Hurrà! dell’ottobre-novembre 1921 vantava il «primato di correttezza sportiva» dell’anno trascorso («su nessuno dei nostri campi di giuoco ebbe a verificarsi il benché minimo incidente») e auspicava il mantenimento del primato anche nel rinunciare a ogni «adeguata ritorsione» nei confronti delle «frasi offensive 10 per cento di pubblico costituito da incompetenti, o incivili, o in malafede, o irresponsabili per ipersensibilità o per troppo giovanile età». E sui campi delle società avversarie ci si augurava che i tifosi juventini avessero sempre tenuto un «contegno da vero sportsman: lo ricordino quei supporters insopportabili che tanto danno arrecano alla società del loro cuore proprio quando, con escandescenze e inopportune discussioni, sono convinti di esserne i migliori paladini». Di fronte a qualsiasi incidente «il dovere degli juventini presenti è d’intervenire come pacieri, non come giustizieri».