Corriere della Sera, 13 ottobre 2019
La lirica in 480 quiz. su “Il gioco dell’opera”
WIMBLENONX
Potrebbe essere un libro pericoloso. Perché – come sottolinea Riccardo Muti nell’introduzione – «d’improvviso ti rendi conto di quanto non sai». E non è mai piacevole scontrarsi con la propria ignoranza. Ci accingiamo a parlarvi di un libro con una storia divertente alle spalle che crediamo valga la pena far conoscere ai lettori, a quelli melomani soprattutto.
Dobbiamo però arrotolare il tempo indietro. Nemmeno troppo però. Ci fermiamo al 1993, quando esce per la prima volta Il gioco dell’opera di Giancorrado Ulrich: un volume con una serie di domande, indovinelli, tranelli su quell’universo sonoro sconfinato che è l’opera. A onor del vero, va ricordato però anche che già nel 1986, e per diversi anni a seguire, una parte di queste perfide domande a trabocchetto apparivano regolarmente sulle colonne de «Il giornale della musica», a firma di un certo Debardus Kleinjäger von Peri – dove Peri è un chiaro riferimento a Jacopo Peri (1561-1633), considerato l’inventore dell’opera lirica: la sua La Dafne su libretto di Ottavio Rinuccini è la prima – teorico e praticante di una famigerata Operntherapie (terapia dell’opera) in grado di curare vari stati d’ansia e malattie di origine nervosa con il semplice utilizzo di arie d’opera.
Uno dei lettori di questa seguitissima rubrica, a un certo punto cominciò a inviare lui domande al professor von Peri. Quesiti del tipo: indicare quante più opere conoscete nella quali una macchina, un meccanismo, un automa sia parte integrante dell’azione scenica o musicale. Oppure: in quali opere si bevono superalcolici? Sapete dire, oltre al titolo, il tipo di bevanda?
Il signore in questione, che inviava queste e altre domande – (quasi) impossibili da indovinare, senza inciampare prima di arrivare in fondo alla risposta – al professor von Peri, si firmava anche lui con uno pseudonimo, Maestro Lotario M. Ottobor, anagramma di Mario Bortolotto, uno dei più grandi storici della musica ai quali l’Italia abbia potuto dare i natali. Accadde a un certo punto, e siamo nuovamente tornati al nostro 1993, che Rosellina Archinto, editrice appassionata di cose belle, come lo è la musica, decide di pubblicare il libro con gli enigmi di Giancorrado Ulrich (e questo non è uno pseudonimo). La prefazione viene firmata da Bortolotto. Leggiamone un passaggio: «Chi scrive è un vecchissimo frequentatore di teatri, ha familiari la Scala e la Fenice si può dire dalla prima giovinezza, è anche dotato di discreta memoria: e, tuttavia, di fronte ai quesiti posti, ebbe fieri momenti di sconforto, e qualche piccolo accesso di stizza».
Dieci anni dopo, il libro viene ristampato da Valentina edizioni, con l’aggiunta di un apparato iconografico, e ora torna nuovamente sugli scaffali, appena ripubblicato da Francesco Brioschi editore in quella forma di 480 enigmi «per il vero intenditore», con la prefazione di Bortolotto e l’introduzione di Muti che parla di domande di quasi «maniacale cultura». E aggiunge che «se, al fondo del volume, non trovassimo le risposte, queste pagine sarebbero incubatrici di ossessioni, di ansie e di soprassalti notturni».
L’ultima parte del libro infatti svela le risposte. Dopo una Fulminea storia dell’opera in guisa di test preliminare, l’Atto primo presenta 80 enigmi «quasi abbordabili», con l’Atto secondo si passa a 235 enigmi di «varia difficoltà», poi all’Intermezzo e all’Epilogo con «12 enigmi di società». È un gioco sopraffino, il gioco della musica (e si può ricordare, anche che inglese, francese e in tedesco si utilizza lo stesso verbo per «suonare» e per «giocare», to play, jouer e spielen).
Il libro è naturalmente pieno di domande (e risposte) esilaranti, soprattutto quando si entra nel campo dei lui e delle lei e dei loro rapporti e incroci amorosi, ma non dimentica anche vicende tristi. Come quella che di Stefano Gobatti: il successo delirante (in realtà dovuto in gran parte a un clan di nemici di Verdi) della sua prima opera data a Bologna il 30 novembre 1873, che ottenne 52 chiamate la prima sera, lo fece salutare dall’oggi al domani come «il nuovo Verdi»; ebbe la cittadinanza onoraria della città di Bologna, come Verdi; la nomina a socio d’onore dell’Accademia Filarmonica di Bologna, come Wagner; la nomina a cavaliere della Corona d’Italia concessa dal Re Vittorio Emanuele II. Anche Giosuè Carducci magnificava il giovane, promettendogli un libretto; ma fin dalla replica il successo si dimostrò effimero. Ritentò con altre due opere che fallirono. Malato, indebitato, accusato di portare sfortuna, perdette la ragione e morì in un manicomio. La domanda di Ulrich a pagina 54 è: «Qual è il titolo del suo disgraziatissimo successo di una sera?». Che alcuni considerano uno dei più grandi trionfi della storia del melodramma. La risposta, che – lo confessiamo – siamo andati a cercarci, è I Goti.
Altrettanto difficile – e ci spostiamo in un altro settore, quello del cibo-opera – è riconoscere il titolo dove compare il seguente menu: Crema alle perle d’orzo, Gamberi di fiume alla bordolese, Aragostine in salsa alle ostriche, Fagiano braciato al porto, Anitra farcita in salsa savoiarda, Palombi arrostiti al naturale, Dolce di mandorle al miele. Una bottiglia di Montrachet, due di Romanée-Conti. L’opera è Vanessa (1958) di Samuel Barber, libretto di Giancarlo Menotti. Chi di voi lo sapeva alzi la mano.