Il Messaggero, 13 ottobre 2019
Dodici gli italiani che militano nell’Isis
Se ne parlerà a lungo nella riunione che si svolgerà domani a Lussemburgo durante il Consiglio dei ministri degli Esteri della Ue. Perché la minaccia foreign fighter non fa dormire sonni tranquilli a nessuno in Europa. Quei 19 mila combattenti, tra i quali ci sono 2.600 europei dello spazio Schengen e 500 balcanici, rappresentano una bomba pronta a fare proselitismo, ma anche e soprattutto – secondo quanto ritiene la nostra intelligence – a mettere a disposizione «la propria esperienza bellica e di know-how nell’uso di armi ed esplosivi».
LE CIFRE
L’attacco della Turchia alla Siria rischia di aprire la strada ai 12 mila jihadisti che sono custoditi dalle milizie curde, rilanciando una jihad globale composta da un vero piccolo esercito, considerati i 70 mila familiari dei componenti di Isis che sono anche loro prigionieri nel Nord della Siria.
L’Italia non è immune dalla minaccia. E a dirlo è stato lo stesso premier Giuseppe Conte, quando ha spiegato che «la questione terrorismo rischia di aggravarsi ulteriormente, perché i curdi potrebbero decidere di aprire le carceri e farli scappare». Per questa ragione i nostri apparati di sicurezza stanno seguendo con «massima attenzione» gli sviluppi della crisi siriana. La preoccupazione non è solo legata alla presenza di italiani militanti nell’esercito del Califfo – circa 12 persone, di cui 5 donne, con tre che dicono di essere pentite – bensì a quegli estremisti islamici stranieri che hanno soggiornato nel nostro Paese o per qualche motivo sono transitati per il territorio italiano, e che vengono quantificati in un totale di 138 foreign fighter.
L’EFFETTO BLOWBACK
Tra questi una cinquantina – secondo la Relazione al Parlamento fatta periodicamente dagli 007 italiani – sarebbero stati uccisi nei teatri di conflitto. La nostra intelligence conosce bene la storia personale di ognuno di loro. E nel caso che qualcuno di questi riuscisse a rientrare in Italia, scatterebbe immediatamente l’arresto. Non preoccupa tanto il numero dei possibili arrivi. La Germania, la Francia, l’Inghilterra, il Belgio, ne hanno decisamente molti più di noi. Ma il timore è per il rischio di un effetto blowback, ovvero quello secondo il quale, una volta rientrati nei paesi di origine i combattenti dell’Isis, potrebbero decidere di passare all’azione. Il dato viene confermato anche nell’ultimo rapporto dell’Europol che evidenzia come i foreign fighter stiano tornando in massa in Europa.
I CONTROLLI
Le cifre che ci riguardano parlano un ritorno di jihadisti «approssimativamente tra il 20 ed il 30%». A questi, però, si aggiungono tutti coloro che hanno optato per il nostro paese come luogo di transito e anche come passaggio per raggiungere i teatri di guerra utilizzando, soprattutto, il porto di Bari e il confine tra l’Italia e la Slovenia. Attenzione elevata, dunque, e tutti i sospetti monitorati di continuo. Le raccomandazioni prevedono la necessità di rafforzare i controlli alle frontiere, intensificare la collaborazione internazionale, assicurare il costante raccordo con i database dell’Interpol e vigilare sull’immigrazione illegale per i rischi che può comportare proprio a causa di possibili infiltrazioni di jihadisti sui barconi.