Il Post, 12 ottobre 2019
Il ringiovanimento digitale è sempre più usato
Gemini Man, il nuovo film di Ang Lee, è nei cinema da ieri ed è presentato come un film in cui Will Smith, il protagonista, «è pronto a dare battaglia a se stesso». In senso quasi letterale: Smith, infatti, interpreta un sicario 51enne, Henry Brogan, che si deve confrontare contro Junior, un suo clone che ha 23 anni. Gemini Man ha avuto più critiche che apprezzamenti, ma si è fatto molto notare per la tecnica usata per far recitare il Will Smith del 2019, che ha 51 anni, con una sua versione più giovane, creata in digitale. È una cosa che già era stata fatta in passato, ma mai così: Junior, infatti, c’è in molte scene del film e in diverse di queste recita accanto a Henry. Per farlo, Gemini Man ha investito milioni di dollari e sperimentato tecniche mai usate prima, alzando l’asticella di quello che si può ottenere con il ringiovanimento digitale: una cosa che vedremo – e di cui parleremo – sempre di più. Del film ci dimenticheremo tra qualche mese, al massimo qualche anno; della tecnica, con ogni probabilità, no.
«Creare un credibile essere umano sintetico è la più difficile tra le stregonerie degli effetti speciali», ha scritto Hollywood Reporter. Hollywood però ci prova da più di un decennio: un caso molto noto è quello di Brad Pitt in Il curioso caso di Benjamin Button, che nel 2009 vinse l’Oscar per i migliori effetti speciali. Poi, solo negli ultimi anni, è stato fatto con Samuel L. Jackson in Capitan Marvel, con Robert Downey Jr. in Avengers: Endgame, con Arnold Schwarzenegger in Terminator: Genisys, con Anthony Hopkins in Westworld e con Johnny Depp in Pirati dei Caraibi: La Vendetta di Salazar. Il ringiovanimento digitale è stato usato anche da Martin Scorsese per far apparire delle versioni più giovani dei personaggi interpretati in The Irishman da Al Pacino, Joe Pesci e De Niro (che dopo essersi visto ha detto al responsabile del ringiovanimento: «Mi hai appena dato altri trent’anni di carriera»).
Semplificando un po’, tutti questi ringiovanimenti sono stati realizzati partendo dalle facce attuali degli attori e lavorando poi in digitale per modificarne la pelle, le rughe, certe espressioni e tutte quelle cose che differenziano un viso e un corpo adulto o anziano da uno giovane. In alcuni casi gli attori recitavano con diversi sensori sul viso, con una tecnica non molto diversa da quella usata per far sì che un attore possa interpretare un animale o un alieno, dandogli però le sue movenze. In altri casi non sono nemmeno serviti i sensori. Scorsese, per esempio, ha spiegato che mettere tutine e sensori addosso a attori come De Niro o Pacino avrebbe compromesso la loro recitazione; e Pablo Helman, che si è occupato degli effetti speciali di The Irishman ha detto che attori come De Niro o Pacino amano recitare davvero, uno di fronte all’altro, e che quindi è stata sviluppata una tecnica per «togliere la tecnologia dagli attori e lascarli liberi di fare quel che dovevano fare» ed «evitare di farli recitare davanti a una pallina da tennis». In breve, è stata sviluppata una tecnologia che usando in simultanea più cineprese permetteva di non mettere strane cose addosso agli attori.
Gemini Man invece ha fatto qualcosa che nessuno aveva mai fatto prima: ha creato da zero una versione digitale di un giovane Will Smith, dandogli un ruolo da co-protagonista in un film e facendolo recitare accanto alla sua versione reale. Un film che, tra l’altro, è girato in 3D e a 120 fotogrammi al secondo (contro i 24 della maggior parte dei film): due cose che rendono maggiore il livello di dettaglio delle immagini, e quindi ancora più complicato far passare come realistico qualcosa che non è reale, ma digitale.
Al ringiovanimento digitale di Will Smith hanno lavorato per centinaia di ore almeno 500 persone di sei diverse società, compresa la neozelandese Weta Digital, che ha vinto cinque Oscar e si è occupata di Avatar, della saga del Signore degli Anelli, di quella del Pianeta delle scimmie e di alcuni film dell’Universo cinematografico Marvel. «A volte sembrava proprio che stessimo creando dal nulla un essere umano, non un effetto speciale», ha detto Stuart Adcock, che per Weta Digital si occupa di movimenti facciali digitali.
Per creare Junior si è partiti dallo studio di quante più immagini possibili di Will Smith da giovane: di quando aveva più o meno l’età che ha Junior in Gemini Man, ma anche di quando era un bambino di otto anni. Per fortuna, nel caso di Smith, è pieno di immagini di lui negli anni e tra le altre sono state usate anche quelle di quando recitava nella sitcom Willy, il Principe di Bel Air. Il fatto che molti di noi ricordino almeno un po’ com’era il vero Will Smith quando aveva vent’anni, però, è stato anche un problema: Adcock ha detto infatti che bisognava «essere all’altezza del ricordo degli spettatori».
Gli addetti agli effetti speciali hanno poi ripreso il Will Smith di oggi per mapparne movimenti, distanze tra gli elementi del viso ed espressioni e hanno in seguito unito ed elaborato tutti i dati raccolti per creare quello che la versione americana di Wired ha descritto così: «Una nuova specie di attore, che può lavorare quanto vuole, può avere una forza sovrumana ed è completamente immerso nel ruolo che interpreta. Non fa pause e non deve passare dal trucco, perché vive in un hard drive». Junior, ha scritto Wired, è «il più ambizioso umano generato a computer per un film».
Per creare Junior si è dovuto mappare la dentatura di Smith, studiarne la pelle del viso nei minimi dettagli (compresa il «bilanciamento dei pigmenti»), ma anche le ossa, gli occhi e il modo in cui respira. Sono inoltre state create delle versioni digitali della sua ossatura, della sua muscolatura, della sua pelle e del suo aspetto esteriore. Guy Williams, che lavora per Weta Digital, ha detto a Wired: «C’erano momenti in cui il mio lavoro consisteva nello stare seduto in una stanza piena di persone che guardavano uno schermo parlando di quanta luce dovrebbe esserci in un brufolo».
Il Financial Times ha scritto che si pensa che la creazione di Junior sia costata, da sola, decine di migliaia di dollari: «Probabilmente il doppio di quanto il vero Will Smith è stato pagato per il film». Come ha spiegato Hollywood Reporter, Will Smith, però, è stato pagato anche per interpretare Junior:
Per le scene in cui appare insieme al suo giovane clone, l’attore ha prima interpretato Harry [il sicario cinquantenne], con un altro attore che faceva i movimenti di Junior. Poi Smith interpretava la parte di Junior attraverso il motion-capture [la tecnologia che rileva i movimenti attraverso i sensori], mentre un altro attore faceva la parte di Henry. Nelle scene in cui Henry e Junior non sono insieme nell’inquadratura, Smith veniva mappato con il sistema di rilevamento facciale e poi Junior veniva digitalmente sostituito a lui.
Oltre a tutto questo, Smith ha raccontato in diverse interviste che Lee, il regista, gli ha chiesto anche, quando doveva interpretare Junior, di recitare «meno», di pensare a come avrebbe recitato se avesse avuto la metà dei suoi anni, senza sapere tutto quello che ha imparato in oltre vent’anni di carriera (e di vita). Smith si è detto tra l’altro molto felice di avere, d’ora in poi, «una personale versione digitale di quando avevo 23 anni, con la quale posso fare i film».
Come dicevamo, nel complesso Gemini Man non è piaciuto: per questioni di trama, ma anche perché alcuni critici non hanno apprezzato il modo in cui Junior appare e viene usato. Peter Debruge ha scritto su Variety che è «un esempio di film in cui un incredibile sforzo è stato fatto per fare un film d’azione incredibilmente pigro» e Jason Bailey ha scritto su Flavorwire che è un film «colossalmente stupido, appesantito da un’innovazione tecnica che, alla fine, non fa altro che alienare lo spettatore». Ma ci sono anche diversi critici che, seppur in genere criticando il film, hanno molto apprezzato Junior e tutto quello che comporta: Charles Bramesco ha scritto su The Verge che (anche per merito di Smith) Junior «esprime un’umanità organica e riconoscibile, seppur sotto una bizzarra maschera digitale». Il Financial Times ha fatto notare che l’effetto è ovviamente più efficace in scene da lontano, magari un po’ buie, più che in quelle luminosissime e con inquadrature in primo piano, ma ha anche scritto che non si era mai visto qualcosa di così avanzato e che i miglioramenti sono sorprendenti anche con paragoni di solo un paio di anni fa, come nel caso del ringiovanimento digitale della principessa Leia in Star Wars – Rogue One.
È praticamente certo che dopo The Irishman e Gemini Man arriveranno altri film che sperimenteranno con la tecnica del ringiovanimento digitale e con altre sue possibili applicazioni. Si parlerà quindi sempre più spesso dell’effettiva necessità, dal punto di vista cinematografico, di usare queste tecniche: qualche anno fa Manhola Dargis scrisse sul New York Times che la considerava «una distrazione che fa vedere che il regista ha preso una decisione sbagliata solo perché poteva permettersi di prenderla» e Andrew Gruttadaro su The Ringer lo ha definito «una soluzione imperfetta a un problema che non esisteva». Di certo si parlerà anche – già lo si sta facendo – delle implicazioni etiche e legali connesse all’uso di queste tecniche: sarebbe giusto, per esempio, farlo con un attore morto?
Allargando ancora di più il discorso, entrano in gioco anche i video deepfake, cioè i video manipolati attraverso l’intelligenza artificiale che permettono, con sempre maggiore facilità e sempre migliori risultati, di sostituire una faccia a un’altra, o di far dire a una versione digitale di qualcuno qualcosa che quel qualcuno non ha mai detto. Video di questo tipo sono stati usati per apparentemente innocue app, ma anche per far passare per vere cose che non lo erano e, in moltissimi casi, per video porno. Il Financial Times cita un rapporto secondo cui, solo negli ultimi sei mesi, sono finiti online quasi 15mila video deepfake, il 96 per cento dei quali aveva un contenuto pornografico.
Per ora le tecniche digitali usate per il ringiovanimento (ma che si possono usare anche per altri scopi) e quelle per il deepfake sono andate avanti su due binari paralleli e su livelli (di costi, di scopi e di risultati) diversissimi. Ma, come scrive il Financial Times, «le due cose si stanno avvicinando e il costo per realizzare esseri umani digitali si sta abbassando molto in fretta». Paul Franklin, direttore creativo dello studio di effetti speciali DNEG ha detto: «Cose che dieci anni fa facevamo solo noi ora si possono fare con software relativamente semplici. È inevitabile che nei prossimi anni succeda qualcosa di simile con le tecniche usate per Gemini Man». Sempre il Financial Times scrive che, in mezzo tra gli effetti speciali di Hollywood e i deepfake fai-da-te, ci sono le grandi aziende tecnologiche, che infatti già stanno mostrando molto interesse nella cosa. La prospettiva, scrive il Financial Times, è che un giorno «ogni possessore di smartphone possa avere la sua personale versione di quello che è Junior in Gemini Man: un avatar realistico da usare nel mondo digitale».