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 2019  ottobre 12 Sabato calendario

Claudio Ciampi, figlio di Carlo Azeglio, ha perso 60 chili

Come si sta sotto quota cento?
«Na’ meraviglia, una gioia che dovrebbero provare tutti quelli come me», si specchia orgoglioso della sua linea Claudio Ciampi, 66 anni, dirigente di banca in pensione, figlio dell’ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio. Pesava 154 chili, era nauseato di se stesso, una «orrenda mongolfiera», il viso gonfio. È da poco tornato a nuova vita. 
Dopo un’operazione di chirurgia bariatrica, la ripresa dell’esercizio fisico e l’adozione di un regime alimentare basato sulla moderazione, è sceso a 95 chili in otto mesi e punta a perderne un’altra decina. Ha raccontato la sua esperienza a www.shareyoulight.it, portale dedicato all’obesità, progetto di sensibilizzazione ideato dall’unità operativa di chirurgia endocrina e metabolica del policlinico Gemelli, col sostegno dell’Associazione Fiocchetto Verde. 
La campagna ha come sottotitolo «Storie di nuovi inizi». Tornare a indossare taglie normali è un nuovo inizio? 
«Altroché. Vede, io non sono dimagrito. Sono semplicemente rinato, venuto al mondo per la seconda volta. A un passo dai 66 anni ho dimenticato la parola dieta e mi sento più giovane di quando ero un giovane grasso. Chi è come ero io non deve perdere la fiducia di farcela». 
Quando ha cominciato a ingrassare? 
Il padre 
«Non diceva nulla ma mi osservava la pancia Vorrei tanto che fosse qui a vedermi oggi» 
«Non lo ricordo con esattezza. Quando andavo troppo oltre cercavo di mettermi a dieta e le ho provate davvero tutte. Lì per lì i risultati sembravano eccellenti. Calavo dieci chili e poco dopo tempo ne mettevo dodici in più. Era uno strazio vivere di rinunce. Man mano che lievitavo, diminuiva l’attività fisica. Meno tennis, meno canottaggio. È stato come cadere in un vortice, una specie di frenesia, imprigionato in un circolo vizioso. Dopo tanti tentativi di riprendermi ho mollato e mi sono messo all’ingrasso senza più remore. Talmente grosso che non riuscivo a fare due passi senza sudare e sventagliarmi anche d’inverno». 
Come faceva a sopportare la sua immagine? 
«Semplice. Ho smesso di guardarmi allo specchio perché sapevo cosa avrei visto. E non mi pesavo. Mi nascondevo per la vergogna. Evitavo le occasioni in cui mi sarei esposto agli sguardi. Ora invece sono posseduto da una forma di esibizionismo. Mi piace mostrarmi, ricevere complimenti, vorrei gridare: “Guardate quanto sono diventato belloooooo”». 
E la sua famiglia? 
«Noi siamo una famiglia di magri, pensi solo a papà. E anche io lo ero da piccolo, sgridato se lasciavo cibo nel piatto come di solito accadeva. Poi chissà cosa mi è successo. È cominciata la crescita. Mamma sospirava. Mia moglie, taglia trentotto, mi ripeteva, “Claudio, guarda come sei ridotto, devi volerti più bene”. Però questa mia condizione non ha danneggiato i nostri rapporti di coppia». 
E papà? 
«Lui mi osservava serio, non parlava ma era come se mi dicesse Claudio, che cavolo stai facendo. Ed era per me peggio di una critica esplicita. I suoi occhi andavano subito alla pancia. Lui non c’è più da qualche anno purtroppo, avrei tanto voluto che mi avesse visto così». 
Qual è stata la molla del cambiamento? 
«I miei nipoti. Un giorno mi dicono, sai zio noi andiamo a New York, tu no visto che non cammini. Solo allora, pensi un po’, ho preso coscienza della mia condizione. Mi sono informato sugli interventi di chirurgia per obesi. Ho deciso di andare dal medico. Sono entrato nello studio del professore Marco Raffaelli col cuore in mano e gli ho detto che volevo avere una seconda opportunità. Lui mi ha elencato i rischi. Ero talmente disperato che non mi mettevano paura. È andata bene. Dopo la convalescenza ho ripreso a camminare, sempre più a lungo. Voglia di mangiare poca visto che lo stomaco con l’intervento si è ristretto. Mangio un po’ di tutto con moderazione. Voglia di spaghetti alla carbonara? Me ne faccio 40 grammi, di più non entrerebbero». 
E le gioie quotidiane? 
«Passare davanti a una vetrina, vedere un giubbotto che mi piace, entrare, misurarlo e comprarlo. Da obeso avevo abiti su misura, mutande, calzini e scarpe comprese. In questi anni ho viaggiato solo in business perché nei sedili dell’economica non entravo. Evviva, torno ad essere un passeggero normale».