Robinson, 12 ottobre 2019
Il Gozzano innamorato
Torino, inizio Novecento. La città, da pochi decenni non più capitale, si avvia a diventare, ma ci vorrà ancora tempo, un importante polo industriale. Intanto, con l’Ambrosio film, si dà spazio al cinema, nuovissima arte. Ma sotto i portici di via Po è ancora possibile incontrare il vecchio De Amicis. In disparte Salgari macina romanzi dedicati ai tigrotti della Malesia. Gli intellettuali frequentano la Società di Cultura. All’Università insegna Arturo Graf, studioso e poeta, che al sabato promuove pubbliche letture di poesia. Nel 1907 Guido Gozzano, poco più che ventenne, pubblica da Renzo Streglio il suo primo libro, La via del rifugio.
Lo legge una giovane poetessa (ha due anni più di lui) che si chiama Amalia Guglielminetti, ha già all’attivo una raccolta di poesie ed ora ha appena mandato in libreria Le vergini folli, nuovi versi di impronta, diciamo così, femminista. E il 13 aprile scrive a Guido, chiamandolo” Cortese Avvocato” e sottolinea “tutte le cose belle e perfide di cui noi poeti si vive e ci si avvelena” tra cui “il sottile tormento del dubbio, e l’ebrezza (sic) folle del sogno”. È l’inizio di un carteggio d’amore e d’amicizia che durerà alcuni anni. Guido, ammalato di tisi, è spesso in campagna o al mare per curarsi. Si danno del voi, poi del tu, poi ancora del voi. Tra tutti e due possiamo dire che fanno molto teatro e certo hanno letto La passeggiata di D’Annunzio (” Voi non mi amate ed io non vi amo"). È dal 1951 che non si ripubblica il volumetto delle Lettere d’amore ora riproposto da Quodlibet con una informatissima postfazione di Franco Contorbia. Intanto gli originali di quelle lettere si sono perduti. Li possedeva un bibliofilo, Spartaco Asciamprener, che appunto curò nel ’51, la prima edizione. Poi, racconta Contorbia, Asciamprener il 14 ottobre 1954 fu coinvolto in un incidente automobilistico e morì sul colpo. Negli anni a venire la famiglia vendette un po’ per volta, per lo più al libraio antiquario Carlo Alberto Chiesa, i molti tesori della sua biblioteca e tra questi anche il carteggio Gozzano- Guglielminetti finora mai ritrovato. Lo leggeranno con piacere i frequentatori della poesia di Gozzano che possono trovare qui l’atto di nascita della poi celebre Signorina Felicita che prima si chiamava Signorina Domestica, creatura se possibile antidannunziana al massimo, che il poeta dichiarava di amare proprio perché quasi brutta e priva di lusinghe. E poi Cocotte, la signorina non troppo per bene che ebbe per vicina di casa al mare quando aveva quattro anni e che vuole resuscitare con i suoi versi. Ancora: si parla delle farfalle cui Guido meditava di dedicare un poema, poi rimasto incompiuto. Le allevava e osservava la loro evoluzione che immortalò in un breve filmato. Anche la Guglielminetti parla della sua poesia, che però, suo malgrado, uscì di scena abbastanza presto nonostante il sostegno dei critici di allora. Amalia aveva buoni rapporti con il critico della Stampa, Dino Mantovani e Guido, che non lo conosceva di persona, chiede a lei di fare il suo nome registrandone le reazioni. Mantovani non si occupò di Gozzano, mentre di tutte e due scrisse bene Borgese, che a rileggerlo oggi appare un po’ enfatico a proposito della Guglielminetti. I due amanti tramavano volentieri per sorvegliare il successo dei loro libri: piccole trame tra letterati, si intende, comunque specchio di un costume e di una società letteraria. Nel ’12 la loro storia d’amore si era consumata. Torino aveva celebrato i cinquant’anni dell’Unità d’Italia ospitando l’Esposizione Universale e Gozzano, che avvocato non divenne mai, ne aveva parlato sui giornali. Nello stesso anno 1911 erano usciti I Colloqui.
Dal giudizio intelligente di Renato Serra alla lettura di Montale (1951) fino all’attenzione vasta di un poeta e critico d’avanguardia come Sanguineti (1966) la fortuna di Gozzano non è andata mai declinando. La sua poesia ha una sostanza complessa e una forma lieve. I suoi versi si sono rivelati infrangibili. Gozzano morì nel ’ 16 a soli 33 anni. Amalia, che un ritratto di Mario Reviglione tramanda un po’ in posa su un divanetto, morì invece nel ’41, dopo aver avuto una storia d’amore con Pitigrilli, di lei molto più giovane, scrittore di grande successo e poi spia dell’Ovra. Finì male, come i suoi versi. Gozzano, sedotto, li aveva imparati a memoria.