Robinson, 12 ottobre 2019
I vichinghi non sono supereroi
È come se i grandi ghiacciai della falda terrestre nordamericana, simboliche e colossali casseforti della memoria, sciogliendosi avessero liberato e sparso per il mondo un segreto congelato per millenni. All’improvviso la civiltà norrena, misteriosa biosfera culturale dei vichinghi, ha bussato nelle nostre case, con miti e leggende. Ha iniziato la Marvel, gigante americano del fumetto, quando nel 2011 ha varato la trilogia cinematografica dedicata al figlio di Odino, il nordico Thor dal magico martello ( primo film diretto da Kenneth Branagh). Ha proseguito la serie tv Vikings, girata in Irlanda, giunta alla quinta stagione e ispirata a fatti reali. Un universo barbarico e brutale si è rimesso come per incanto a parlare con noi, dall’abisso della storia trapassata.
Ma finora si era trattato, per lo più, di cucinare uno stile di vita per noi inconcepibile in chiave fantastica, a scopo di intrattenimento. Non era stato sperimentato, come dice Bergsveinn Birgisson, islandese, filologo e studioso di cultura norrena, l’uso di «entrambi i lobi cerebrali», ricucendo in unica tela i frutti di una ricerca rigorosa con l’espansione immaginaria permessa dalla letteratura. Ne è venuto fuori un lavoro, Il Vichingo Nero ( Iperborea) che non ha paura di correre spericolatamente tra l’attendibilità del documento e suggestioni alla Moby Dick.
Del resto, la materia si sposa con simili acrobazie. Già il creatore di Vikings, Michael Hirst, aveva così dichiarato il suo intento: «Mostrare un lato nuovo dei vichinghi, che non li dipingesse solo come saccheggiatori e stupratori». Per farlo, nella serie, non solo aveva resuscitato personaggi reali ( re Ragnar, per esempio, è ispirato al sovrano che avrebbe regnato su Svezia e Danimarca alla fine del IX secolo) ma rimesso in moto ad uso televisivo ben quattro lingue morte: latino, antico norreno, anglo-sassone e franco.
Birgisson si spinge oltre. Si mette a caccia di un suo antenato di 1100 anni fa, da cui lo separano ventisei generazioni prima del trisnonno. Si chiama Geirmund Pelle Scura. È un’ombra, poco più di un fantasma. A lui non sono state dedicate neppure le scarne saghe tramandateci nei secoli. Eppure, dice Birgisson, il Vichingo Nero è stato il fondatore dell’Islanda. Le sue avventure attraversano quattro paesi: il Rogaland in Norvegia, il misterioso Bjarmaland ( regione siberiana terra della madre), l’Irlanda ( dove si insedierà nei pressi di Dublino), l’Islanda, di cui fu il principale colonizzatore.
Il nostro eroe nasce ottocento anni dopo Cristo. In che mondo? Le città più grandi del pianeta sono Istanbul, Baghdad e Xi’an, in Cina. In Guatemala i maya strappano ancora il cuore ai sacrificati, gettando i loro corpi dalle piramidi di Tikal. Mori e saraceni risalgono il Tevere, per assediare il trono di Pietro. I vichinghi, nel frattempo, salpano dal Rogaland in Norvegia occidentale e mettono a segno la prima incursione in Irlanda. Sono i signori della leggendaria via del Nord. Tra di loro non c’è ancora traccia del culto del ” Cristo bianco”, la nuova religione diffusa in Europa con la spada da Carlo Magno. Qui, in mare aperto e verso i ghiacci, si nasconde il grande serpente primordiale, l’arcobaleno viene considerato un ponte verso il cielo, i trapassati dimorano nei grandi tumuli sacri edificati lungo le coste, le donne hanno diritto a divorziare e risposarsi.
C’è una sola novità, in questo mondo di gelo e di vulcani, a testimoniare la presenza dell’inventiva umana nel ciclo eterno degli dei: ora le navi hanno le vele. La nave vichinga era considerata una cosa viva e definita “il cavallo del mare”. È grazie alle nuove imbarcazioni che re Hjor, il padre del Vichingo Nero, guida la conquista dell’Irlanda. Alle spalle ha due figli avuti da Ljùfnna, regina dell’enigmatico paese chiamato Bjarmaland, terra di troll e disciamani. Uno dei due è nato scuro, come nella napoletana Tammurriata Nera. Ne hanno vergogna, così Geirmund Pelle Scura crescerà tra gli schiavi, prima che venga riconosciuta la sua regalità.
È a questo punto che la ricerca del filologo Birgisson ricuce un universo. Da un lato descrive la fondazione dell’Islanda ( prossima tappa dell’espansione vichinga dopo l’Ir-landa) come una storia mercantile, un ciclo basato sul commercio degli schiavi e sulla caccia al tricheco, le cui pelli servivano a imbastire le preziose navi. Dall’altro squarcia il velo su una dimensione altrettanto reale, nella quale la natura era sempre vissuta come scontro tra gli opposti, e gli uomini perseguivano «l’arte dell’istante» e «morivano ridendo».