Robinson, 12 ottobre 2019
I Vaticanleaks di Gabo Márquez
«Non si può dire di no allo Spirito Santo». Scatenò l’ira del cardinale colombiano Darío Castrillón Hoyos, prefetto della Congregazione per il clero questa frase con cui Gabriel García Márquez chiudeva il suo reportage “Il Papabile”.
Correva l’anno 1999, la lenta via crucis di Giovanni Paolo II era iniziata. Il cardinale Castrillón appariva nella lista dei candidati alla successione. García Márquez, fondatore e caporedattore della rivista colombiana Cambio, era arrivato a Roma da Città del Messico per intervistare il porporato e indagare sulle sue possibilità di salire al soglio pontificio. L’autore di Cent’anni di solitudine tracciò un ritratto divino e umano del colombiano principe della Chiesa. Raccontò che il suo stipendio ammontava a quattro milioni di lire, che dormiva nel letto dov’era morto Pio XII, si esercitava allo sci nautico, era un provetto fantino e altri insospettabili dettagli della sua vita privata. Rivelò anche il suo incontro clandestino con Pablo Escobar, dominus del narcotraffico mondiale, ucciso sei anni prima. Il capo mafia, travestito da lattaio e con i soliti modi insolenti, gli aveva chiesto: «Per conto di chi ti presenti?». E Castrillón, indossando i panni di un contadino, aveva risposto: «Per conto di colui che ti giudicherà».
Nel 2016, due anni prima del suo decesso, nella casa di Borgo Pio a Roma, il cardinale Castrillón mi consegnò la copia della lettera di protesta a García Márquez per quel reportage. Si doleva: «Mi mette a disagio quel titolone di papabile». La missiva cordiale e pungente perdonava ma non assolveva il letterato: «Il suo peccato? Essere il più grande maestro della fantasia in lingua spagnola». Per il cardinale la frase finale dell’articolo non era cronaca, ma frutto della fervida immaginazione del romanziere. Davanti al dilemma della sua candidatura al pontificato, il porporato sosteneva di avere risposto: «Mi auguro che Dio conservi questo papa (Giovanni Paolo II) molto a lungo e che sia lui a pregare sulla mia tomba». Il reportage uscito il 19 aprile 1999, tradotto in 35 lingue, consegnava invece alle stampe un cardinale rassegnato a diventare Papa per non andare contro i disegni dello Spirito Santo.
Inchiesta su Papa Pacelli
L’appuntamento con Castrillón fu l’ultima occasione per García Màrquez di misurarsi da reporter con i labirinti vaticani. Ma non fu l’unica. La prima volta era arrivato a Roma nel 1955, ventottenne inviato speciale del quotidiano progressista colombiano El Espectador per fare luce sullo stato di salute di Papa Pacelli, che l’anno prima era stato vittima di crisi gastriche e forti attacchi di singhiozzo. Dall’Italia spedì sei reportage. Con un taglio demitizzante introduceva i lettori al clima delle udienze nella residenza estiva di Castelgandolfo: «Siccome è estate e il cortiletto è chiuso sui quattro lati, in cinque minuti fa un caldo asfissiante. Quando Pio XII compare, alle sei meno cinque, deve sentire il denso e acre vapore umano che sale dal cortile, mescolato alle ovazioni e agli applausi. In quel momento, il Papa sa qual è l’odore dell’umanitá».
Trovarsi reporter in Italia a 28 anni gli permise di consolidare la sua fascinazione per le creature di potere supremo e gli diede l’opportunità di scrutare i retroscena dei misteri vaticani. L’occasione fu uno scoop della rivista Oggi pubblicato nel novembre 1955: «Nel corso della crisi dell’anno scorso, il Papa vide Gesù accanto al suo letto». Si scatenò un terremoto giornalistico e Garcìa Màrquez divenne un vero detective dedicandosi ad approfondire la rivelazione «di incalcolabile trascendenza per i cattolici» dato che «nella storia della chiesa, soltanto un’altra volta un papa aveva visto Gesù, San Silvestro». Cosa era accaduto? Come era uscita l’indiscrezione dalle stanze papali? Perché la notizia era stata diffusa in esclusiva da Oggi?
Impossibilitato a comunicare in tempo reale (non c’erano Internet, Twitter, Whatsap, Instagram o altri demoni tecnologici) García Márquez indagava sulla fuga di notizie e inviava le sue corrispondenze tramite posta. Da Roma i testi raggiungevano la redazione colombiana prima via treno fino a Parigi, poi da lì in aereo con un volo settimanale e scali a Madrid, Lisbona, Azzorre, Bermuda, Caracas e Barranquilla. Dopo due giorni di peregrinaggio nei cieli, l’atterraggio a Bogotà, fino al desk del giornale El Espectador. In quelle cronache si raccontavano le polemiche e i sospetti dei giornalisti. Molti credevano si trattasse di un assist alla Democrazia Cristiana, altri sottolineavano le gelosie professionali. Curzio Malaparte, nella rubrica “Battibecco” sul quotidianoIl Tempo, scriveva: «Un Papa che vede Cristo è molto più autorevole di un Papa che non lo vede. Sarebbe stato assai meglio che una notizia di tale importanza fosse stata comunicata al mondo non già attraverso un settimanale, in modo anonimo, bensì dalla voce stessa del Pontefice. Si tratta di un miracolo, non di un fatto di cronaca».
Dopo tre settimane di sospetti e sproloqui, sabato 10 dicembre 1955 arrivò la conferma della notizia sull’Osservatore Romano. Si quietò la pubblica opinione, ma non la curiosità del reporter che proseguì con le sue indagini e infine rivelò il contesto della notizia: l’antagonismo tra le riviste Epoca eOggi. Il Gesuita Padre Virgilio Rotondi, che curava i rapporti tra la stampa e la Santa Sede era una insospettabile fonte di Epoca, che così aumentava prestigio e tiratura. Edilio Rusconi, allora direttore di Oggi, fece pressione affinché anche alla sua rivista venisse riservato un trattamento di favore. «Attese per un anno ma ne valse la pena», concluse il reporter. García Márquez scoprì anche l’eminenza grigia dietro l’indiscrezione: Suor Pasqualina Lehner, monaca tedesca, governante dell’appartamento di papa Pio XII, «creatura misteriosa che gestiva con polso di ferro la vita privata del pontefice». Il futuro Nobel svelò che in quel mondo maschile e maschilista la confidente, consigliera e depositaria dei delicati affari di sua Santità, era una donna.
Dieci minuti di solitudine con Papa Wojtyla «Pensai: se mia madre sapesse che sono chiuso a chiave con il Papa nel suo studio... Mi sembrò una cosa così irreale che quella sera mi impegnai a non raccontarlo mai, per paura di non essere creduto». Così García Márquez ripercorre l’incontro privato del 1979 con Giovanni Paolo II in un testo conservato nell’Harry Ransom Center dell’Università del Texas.
Come presidente della fondazione dei diritti umani Habeas, da lui creata nel 1978, doveva invocare la benedizione di papa Giovanni Paolo I, appena eletto, a favore della campagna che reclamava giustizia per i desaparecidos della dittatura Videla in Argentina. La scomparsa improvvisa di Papa Luciani fece sì che a riceverlo per un’udienza di 10 minuti fosse il suo successore. Papa Wojtyla commentò che la situazione in Europa dell’Est era identica.
García Márquez ricordò come un momento magico la fine dell’udienza: il sommo pontefice non riusciva ad aprire la porta dello studio e dovette intervenire in suo aiuto un segretario particolare. «Mi sembrò del tutto logico: tutti noi abbiamo avuto analoghi problemi cambiando casa e lui non ci abitava che da due mesi appena. Solo in quel momento – scrisse il Nobel – capii fino in fondo dove mi trovavo, quelle vetrine di legno naturale con file interminabili di libri eguali, quelle fioriere antiche senza neppure un fiore, e quell’uomo solo che gira insistentemente la chiave a destra e a sinistra senza riuscire ad aprire la porta e che mormora qualcosa in polacco, chissà forse una preghiera al santo sconosciuto che apre le porte bloccate».
Dieci anni dopo Giovanni Paolo II visitò la Colombia, ma il Nobel si era già trasferito a Città del Messico. Si sarebbero ritrovati solo nella Piazza della Rivoluzione all’Havana, durante la visita di Wojtyla a Cuba.
Mentre il Papa polacco volgeva verso la Santità, García Márquez muoveva le carte e i fili invisibili del potere. Grazie alle sue criticate amicizie con capi di Stato e alti funzionari di organizzazioni transnazionali, raffinava le sue doti di mediatore e silenziosamente riusciva a ottenere la liberazione di numerosi prigionieri politici in diversi Paesi dell’America Latina, 3.200 solo a Cuba secondo lo scrittore e diplomatico colombiano Plinio Mendoza.
Vaccinato contro l’oblio
Nelle sue memorie García Màrquez racconta di essere nato con un giro di cordone ombelicale attorcigliato al collo, e che per proteggerlo una cugina propose di strofinarlo, mescolando rum e acqua benedetta. È questa pozione che ha trasformato i suoi libri in una bacchetta magica che ha ridato il diritto a sognare a un intero continente? E che ancora lo difende dalla peste dell’oblio? O dipende dalla fede di ferro di sua madre? «Il suo rapporto con Dio – ricordava il Nobel – non era di sottomissione ma di combattimento».
Gabriel García Márquez fu battezzato, servì come chierichetto, ricevete la prima comunione, si sposò all’altare e il suo primo figlio fu battezzato dal sacerdote colombiano Camillo Torres, precursore della teologia della liberazione, prima di cadere in combattimento come guerrigliero. Lottò per i diritti umani, abbracciò le cause dei più deboli e fu un buon cristiano, anche se prima di morire a Città del Messico, il 17 aprile 2014, chiese di essere sepolto laicamente. Intervistato da Giovanni Minoli, che gli domandò se credesse in Dio, rispose: «No, ma spero che Dio creda in me». Di certo gli concesse il dono di creare nelle sue opere «una nuova e travolgente utopia sulla terra».