Libero, 11 ottobre 2019
I vostri sogni non sono diversi dai miei
Non c’è niente di meno interessante dei sogni degli altri. Eppure tutti si ostinano a raccontare le loro peripezie e incubi notturni convinti che siano interessantissimi. Grave errore: il sogno vale soltanto per chi lo fa. Anche le trame dei film riassunte da parenti e amici sono foriere di noia profonda, ma poiché i cinema sono aperti al pubblico, ci si può sempre salvare dicendo prontamente: «Ah sì, l’ho visto anche io, bello». Contro i sognatori siamo invece indifesi. Come fai a dirgli: «Guarda che quel sogno lì lo conosco a memoria»? E così sei costretto ad ascoltarlo sino al termine, fingendo appassionata partecipazione.
Quello che stupisce dei sogni degli altri è la lunghezza, sono lungometraggi, avventure complicate e ricche di particolari insignificanti ma sui quali il sognatore che ti attacca bottone, si sofferma con puntigliosa precisione. Il sogno raccontato è un guazzabuglio di situazioni assurde e di personaggi che fanno cose folli, e soggiaci alla narrazione inerme e rassegnato come davanti a una calamità. Viene voglia di dire «ma come hai fatto a sognare tutta questa roba in una sola notte? Hai dormito 314 ore o ti stai confondendo con Ivan il Terribile?». Meno male che i sogni non sono come gli sceneggiati televisivi – a puntate – altrimenti bisognerebbe fare un referendum per approvare una legge che imponga il segreto onirico, con pene severe ai trasgressori.
LA RIMOZIONE C’è un altro aspetto stupefacente in molti di coloro che amano la «pubblicazione» delle immagini emergenti dalle brume del sonno, la memoria di ferro. Capita anche al sottoscritto di fare sogni pazzeschi, come giocare a tresette con Fanfani o comporre una sinfonia d’orchestra d’archi, ma alla mattina, per quanto mi sforzi, non ricordo nemmeno un solfeggio. Altri, invece, rammentano tutto, anche le sfumature. Come sia possibile, è un mistero che bisogna svelare. Varie volte dormendo mi è accaduto di sperimentare quanto sia facile volare con i propri mezzi fisici, senza cioè deltaplani né aerei. Basta spiccare un piccolo salto e muovere lievemente braccia e gambe. Piano piano il corpo prende quota leggero come una piuma, e mi accorgo che volare è semplice come nuotare, e meno faticoso. Mentre affino con soddisfazione la tecnica aeronautica muscolare, sono perfettamente consapevole che sto sognando, ma ciò non spegne il mio entusiasmo, anzi, rafforza il proposito di continuare le esercitazioni anche da sveglio, e mi rimprovero di avere scoperto solo ora come sia naturale fare l’uccello. Domani mattina, penso, per andare a lavorare al posto della macchina prendo il volo, così risparmio e faccio prima. Mi pare normale: dunque, necessario prendere appunti. Come ti svegli, e hai ancora nitide in testa le immagini oniriche, devi alzarti anche in piena notte e trascrivere subito ogni dettaglio, in maniera che resti, nero su bianco, anche qualche traccia dell’atmosfera del sogno. Dopo un paio di mesi di questa vitaccia, stando agli esperti, ci si rende conto che almeno il 90 per cento delle strampalate vicende, inventate dal nostro cervello dormiente, presenta parecchie analogie, rivelandoci un profilo quasi esatto della nostra personalità nascosta, quella che Jung chiama l’«ombra». Secondo l’allieva più diligente dello studioso svizzero, Ania Teillard, autrice de Il mondo dei sogni (Feltrinelli, 214 pagine) più si presta attenzione ai sogni, non solo essi maggiormente ci rimangono impressi, ma possono altresì servirci come guida diurna. Di modo che trattenere, integrali, le immagini oniriche ci permette di prendere due piccioni con una fava: ampia vendetta nei confronti di coloro che ci tediano con la narrazione dei loro sogni, nel senso di potergli rendere pane per focaccia; e acquisizione di una bussola in grado di indicarci le strade da percorrere o almeno quelle da evitare. Sarebbe a dire che gli antichi erano assai vicini alla verità quando attribuivano al sogno una funzione di pronostico. Artemidoro, che ai suoi tempi fu tra gli specialisti più in voga nella lettura preveggente dei simboli onirici, ha lasciato trattati e glossari che meravigliano gli studiosi di oggi per l’esattezza di certe interpretazioni.
IL PASSATO Nei secoli più remoti questa materia era considerata forse più seria di oggi, tant’è che i Romani – d’accordo che erano eccessivi in tutto – portarono addirittura in Senato i sogni impressionanti fatti dai cittadini più influenti, facendone oggetto di dibattiti parlamentari. Ma in questo erano agevolati dalla mancanza di emendamenti radicali. Da allora, pur essendo trascorsi una ventina di secoli, e pur essendosi evoluti i costumi, l’arte di interpretare i sogni, se si escludono alcuni grandi psicanalisti, è addirittura regredita. Per la gente c’è in essa più superstizione che scienza. Ed è un peccato perché, come dice la Teillard «ciascuno di noi nei suoi sogni è un poeta e un chiaroveggente. E può sorpassare i propri limiti e per un momento attingere i segreti della vita: rivelazione che si riteneva riservata a qualche essere privilegiato». Va bene che tra i Romani, Artemidoro e i giorni nostri c’è stato di mezzo Freud, che nel settore ha avuto voce in capitolo, ma sempre secondo la sullodata Teillard, il concetto freudiano del sogno – desiderio soddisfatto simbolicamente – «è oggi sorpassato», troppo riduttivo. Bisogna andare più a fondo, recuperare la cultura degli antichi. L’allieva di Jung insiste nel dire che i simboli onirici non si devono collegare esclusivamente alla sfera sessuale, non è detto che sognare un tram o una barca a vela significhi per forza avere una voglia sfrenata di fare l’amore. Può darsi che ci sia sotto dell’altro, dipende dal grado culturale del sognatore e dalla simbologia che il suo spirito ha ereditato dai suoi antenati, giacché la scuola di Jung attribuisce a ciascuno di noi oltre all’inconscio collettivo, e quest’ultimo ci verrebbe fornito per vie genetiche, costituendo una cinghia di trasmissione tra l’uomo contemporaneo e i suoi avi, addirittura fino al padre dell’umanità. In sostanza, ogni persona nascerebbe con un bagaglio di «dati» atavici che si collocherebbe nel profondo, e dal quale la coscienza non può attingere nulla, o pochissimo, mentre i sogni vi troverebbero una inesauribile fonte d’ispirazione. Ecco perché certi sogni sono incomprensibili, perché vengono fuori dall’ignoto, presentandosi con simboli ancestrali. Il problema è questo: tu non capisci il sogno perché non familiarizzi con il tuo inconscio, che è una specie di seconda persona, un inquilino un po’ animalesco e troglodita che apre gli occhi quando tu li chiudi. E questa persona parla un linguaggio diverso, antiquato, da cavernicolo. Si tratta di impararlo, studiandolo come una lingua straniera: un po’ per volta, con impegno e costanza, certi suoni e certe immagini che ci sembravano insondabili, diverranno limpidi. L’alter ego continuerà a farsi i fatti suoi, spesso bassamente, e ci condurrà ancora nelle tenebre a compiere azioni che da svegli ci fanno orrore, ma neanche tanto, come picchiare i colleghi e corteggiare le loro mogli, rubare e anche peggio; ma una volta assimilato il suo linguaggio e preso atto del suo temperamento, l’alter ego non ci attirerà più, e assisteremo benevolmente alle sue bizzarrie oniriche, senza angoscia né sudori freddi al risveglio. Passerà anche la paura del buio e mille altre fobie, compresa quella della morte, che, in fondo, non sono altro che la paura dell’inconscio.
UNA SINTESI Per arrivare a questi risultati la strada non è breve, ma fin dall’inizio riserva qualche incentivo che non te la fa più abbandonare. La Teillard avverte che il suo libro non è un dizionario dove si trova una risposta per ogni sogno come nei manuali per giocare al lotto, ma contiene una sintesi di tutti gli elementi fondamentali per cominciare a comprendere. Dopo di che, ciascuno, anche senza l’aiuto-riscontro dell’analista della psiche, può progredire e giungere ad una buona padronanza dell’«ombra», di quel folletto che si nasconde in noi e che, senza la vigile mediazione della coscienza, ci renderebbe o schizofrenici o delinquenti, a seconda del «carattere». Non è una novità che la nostra personalità è polivalente: Goethe nel Faust, Pirandello in quasi tutte le sue opere e addirittura gli autori tragici greci dimostrano di averlo intuito con lampi di genialità. Ma è stata la psicanalisi a darci le prove scientifiche, rivalutando a questo fine il sogno in quanto specchio deformante del profondo. Deformante perché l’inconscio è rimasto primitivo mentre la coscienza si è evoluta con la civilizzazione, provocando una sorta di frattura nell’intimo di ogni uomo, il quale se entra in conflitto con l’inquilino che è in lui può diventare il primo nemico di se stesso. E poiché il sogno è l’unica via di accesso alle cantine dell’anima, va coltivato e attentamente studiato. Per gli antichi l’operazione era spontanea perché i simboli onirici erano in sintonia con la vita reale, e quindi più facilmente interpretabili, ma la loro tecnica d’interpretazione era rozza, istintiva, e spesso catalogavano i presunti significati dei sogni in un elenco di stereotipi che non potevano adattarsi a tutti i casi. Il libro della Teillard invece è molto elastico e insegna a diffidare di coloro che fanno di ogni erba un fascio, pretendendo di avere una risposta pronta, inscatolata per ogni interrogativo sollevato dai vari sogni. «Essi sono di una complessità a volte scoraggiante e sconcertante – dice la psicanalista – ma alla fine tutti si rivelano prodotto autentico e esatto del nostro animo, sono noi stessi, la nostra psiche, la nostra verità interna, inesorabile». Vanno analizzati caso per caso.
L’OMBRA Nei vecchi libri dei sogni, l’ombelico, per esempio, è un annunciatore della propria morte. Interpretazione troppo drastica, restrittiva. Per i discepoli di Jung invece, può significare il centro dell’universo, un desiderio di riposo. Come si vede anche la chiave moderna, a ben guardare, è una copia riveduta e corretta di quella antica. Difatti l’ombelico sia come simbolo di morte, sia di riposo o di universo, ha la stessa matrice ove si pensi che i preistorici inumavano i morti nella posizione del feto, sperando che la madre-terra vi insufflasse l’energia per una seconda nascita. E anche noi, in fondo, riposiamo per rivitalizzarci. Uno potrebbe chiedersi, a questo punto: d’accordo, ma anche quando avrò imparato tutti i simboli onirici, che sono migliaia, e saprò decifrare ogni mio sogno, che cosa me ne verrà? Dice la Teillard con il conforto di Jung: «I sogni possono prevedere gli avvenimenti futuri perché nella vita niente viene casualmente; gli avvenimenti al contrario sono preformati nell’inconscio personale o nell’inconscio collettivo, al quale noi partecipiamo, prima di prendere forma nella vita reale. L’atteggiamento del nostro inconscio (la bestia) ha un’influenza sugli uomini e sugli avvenimenti; noi possiamo dunque evitare certe situazioni o influenzare altre cambiando noi stessi». E allora, tornando a quelli come il sottoscritto che di notte volano disinvoltamente e di giorno vanno a piedi, che razza di significato ha un sogno simile e per giunta ripetitivo? Vuol dire che c’è un desiderio di elevazione spirituale che corrisponde una incapacità impressionante di realizzarlo; che vorremmo essere solo spirito e nobili pensieri, e invece restiamo dei poveretti che non riescono a distaccarsi dalle miserrime faccenduole terrestri, tipo aumenti di stipendio. Oddio che vergogna. E quelli che sognano di andare in giro nudi e affrontano imbarazzatissimi la folla, cercando inutilmente qualcosa con cui coprirsi? Sono forse naturisti depressi? No, è gente che mal s’adatta alle convenzioni sociali, magari desidera soltanto fare le boccacce al proprio direttore. Ecco l’utilità del sogno, e soprattutto di capirlo: la «bestia» ci avverte, sta poi a noi aprire gli occhi o chiuderne uno. Ma la conoscenza di se stesso comporta anche un rischio: di fare un brutto incontro.