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 2019  ottobre 11 Venerdì calendario

Il senatore Alberto Airola racconta il suo tentato suicidio

La mano sinistra accarezza la tazzina del caffè, la destra giocherella con una sigaretta, tra le labbra arriva un sorriso: “Dopo quello che è successo non ho più paura di morire, so che le cose si possono risolvere: l’importante è cercare aiuto, e riuscire a farselo dare”. Alberto Airola, torinese, 49 anni, è un senatore dei Cinque Stelle, uno di quelli della prima ora. Ma è anche un uomo che aveva dentro “un serpente”, l’immagine con cui Airola rende di carne il suo nemico, la depressione. L’avversario che non ti avverte, “ti svuota giorno dopo giorno, te lo ritrovi a fianco, anche nel letto”. Quel rettile che una notte di agosto dello scorso agosto ha spinto Airola a tentare il suicidio, in casa sua. Non necessariamente chi è depresso arriva a pensarlo. “Di quella notte non ricordo nulla”, scandisce al tavolino di un bar a due passi dal Senato. Fa un gesto con il braccio, come a spazzare via l’incubo, però ha voglia di ricordare il resto, di raccontare tutto. “Sto conservando tutti i vostri articoli sul tema del suicidio: bisogna parlarne per aiutare le persone. E io voglio farlo”.
Così Airola racconta, senza schermi, senza omissioni. “È cominciato tutto con un senso di fallimento: ero insoddisfatto di me, mi sembrava di non aver raggiunto gli obiettivi politici che mi ero dato, di non essere utile ai cittadini. E avevo problemi personali”. Si sentiva stonato, non voleva più ascoltare e ascoltarsi. “Ho cominciato a prendere ansiolitici, Xanax. Me lo aveva prescritto il medico, sapeva della mia depressione, ma io prendevo dosi superiori a quelle prescritte. Non volevo più pensare. Volevo staccarmi dalla realtà…”. E si stacca Airola. Sempre più spesso. “E se talvolta mischi alcol e farmaci è ancora peggio”. Arriva a odiarsi. “Volevo annullarmi, ma rifiutavo di parlarne, e invece è la prima cosa che andrebbe fatta: confidarsi con persone terze, esperte, perché i familiari non hanno gli strumenti per capire certe cose”. Ma l’uomo morso dal serpente non lo sa, o forse non vuole saperlo. E a un tratto qualcosa si rompe. Airola torna a quei giorni, entra nei dettagli. “Volevo farla finita, ma la mia prima preoccupazione era come mi avrebbero ritrovato il giorno dopo. Per questo inizialmente ho pensato che preferivo addormentarmi…”. Pensa all’auto, al tubo del gas. È il pomeriggio di un giorno di agosto. Ma non si decide. La sera va a cena con degli amici. “Ridiamo e scherziamo, ma io ho sempre quel pensiero, chiudere, magari il giorno dopo”. Invece ci prova appena tornato a casa. Prima di tutto però pensa agli altri. Scrive diverse lettere, “agli amici”. Una è per la famiglia e un’altra per le forze dell’ordine: “Volevo chiarire che era una mia decisione, e che non c’entrava nessun altro”. Cambia “metodo”. E si infila nella vasca. Arriva il buio. Dovrebbe essere la fine. “Ma qualcosa dentro di me voleva vivere”. Qualcosa azzanna il serpente, e lo spinge a rispondere a un messaggio della sorella, che da giorni aveva notato strani segnali. “Non ricordo di averlo fatto”. Airola usa “parole sconnesse”, e non è strano: “Avevo preso quattro flaconi di benzodiazepine.”. Ma la sorella capisce. Parte immediatamente da casa, in un paese in provincia di Torino, e nel frattempo avverte il 118. Nell’attesa Airola esce dalla vasca e gira per la casa, sposta un libro, uno stendino, e finisce sul letto come un sonnambulo (“Me lo hanno raccontato poi”). È lì che lo trovano gli operatori sanitari, è lì dove lo salvano.
I primi giorni del dopo sono amarezza: “Sui giornali sono uscite balle e qualcuno ha passato delle mie foto alla stampa, mai pubblicate per fortuna”. E sono fatica: “Quello delle strutture psichiatriche è un mondo difficile”. Ma Airola esce dalla sua notte senza ricordi. “Mi è arrivato tantissimo affetto, messaggi, lettere: la mia famiglia e gli amici intimi mi sostengono. E ora ho una passione, la fotografia”. Riparte. “Ogni tanto l’ansia risale, ma sono in cura. E poi i farmaci non vanno demonizzati, lo Xanax può aiutare, ma va preso nel modo giusto, e non può essere la risposta”. La risposta è non staccarsi, dagli altri. “Un paio di persone mi hanno chiesto aiuto, consigli e io ho risposto. È importante”.
Il caffè è finito, accanto al bar sciamano turisti. Airola riflette: “So che ogni tanto qualche collega o persone comuni mi guardano sapendo cosa ho fatto, e magari pensano che questo mi abbia reso meno affidabile. Ma io non voglio farmi condizionare. E lo dico a tutti: non abbiate paura del giudizio degli altri”. Non ha più paura, Alberto di Torino. “L’altra sera in un ristorante un signore mi ha abbracciato, pensavo volesse parlare di politica. Invece mi ha parlato della moglie, mi ha detto che pensa ogni giorno a come farla finita. Ho provato ad aiutare, a raccontare”. Per gli altri.