ItaliaOggi, 11 ottobre 2019
In Germania non ci sono giovani giornalisti
Tempo fa fui invitato da un liceo berlinese in cui si insegna anche l’italiano a parlare sulla nostra stampa. Uno studente mi chiese perché ero diventato giornalista. Citai Hemingway, e dagli sguardi smarriti dei ragazzi compresi che non sapevano chi fosse, o non l’avevano letto. L’autore di Fiesta è colpevole, ma al primo amore si perdona sempre. In realtà la mia scelta fu obbligata, non sapevo, e non so fare altro che scrivere, e continuo a meravigliarmi che qualcuno mi paghi per farmi dire quel che penso. Ma il mestiere è cambiato, e non da ieri. Quando mio figlio, dopo la laurea in lettere (110 e lode) mi confessò di volere fare il giornalista, fui preso dallo sconforto. Poi mi annunciò con tatto, forse temeva di offendermi, che «ho capito che non mi piace». Questa è una buona notizia, lo rassicurai. Oggi fa un lavoro che gli piace, almeno spero.I quotidiani e le riviste in Germania non trovano più Nachwuchs, giovani da allevare per la professione, scrive Meedia il sito sulla stampa, dell’Handelsbaltt, il primo giornale economico tedesco. Dieci anni fa, come ai miei tempi, i ragazzi assediavano le redazioni proponendo articoli, o aspettando un piccolo incarico. Oggi, nessuno bussa più alla porta del direttore. È più conveniente lavorare per un’agenzia pubblicitaria o start-up, non è difficile entrare, ci sono prospettive di una carriera rapida, e si guadagna di più.
Il numero dei volontari è diminuito drasticamente. In un giornale la gavetta è troppo lunga, l’esito è incerto, le redazioni continuano a diminuire il personale, e il lavoro è duro, straordinari non pagati, e impegni al weekend e nei giorni di festa. Già nel 2016, secondo un sondaggio della IQ sui giornalisti, che non vuol dire quoziente d’intelligenza bensì Initiative Qualität, la maggioranza dei praticanti è delusa dall’esperienza: sono costretti a far da tappabuchi, l’assunzione a tempo indeterminato non è certa, infine l’addestramento è insoddisfacente, contraddittorio, e non abbastanza moderno.
La stampa è in crisi, scrive Meedia, perché diminuiscono le copie e la pubblicità, ma anche perché i giornalisti scarseggiano e non sono all’altezza dei compiti. Molte redazioni non hanno ancora capito che i lettori sono cambiati, vogliono essere informati in altro modo, le notizie se le fabbricano da soli in internet, o almeno lo credono, quando aprono un quotidiano vogliono trovare qualcosa di nuovo, di sorprendente, e di convincente. Altrimenti perché dovrebbero sottoscrivere un abbonamento per l’edizione cartacea o online? È un’impresa ardua conquistare la loro fiducia, e mantenerla. Mancano gli allenatori: come pretendere di guidare Maradona in campo ma non sapere dare un calcio al pallone.
Dieci anni fa, il lavoro, bene o male, assomigliava a quello dei miei inizi, andare sul posto, fare interviste, porre le domande giuste, e così via. Oggi si deve essere maestri del web, ma sempre più i giornalisti finiscono per diventare commentatori, non danno notizie ma si limitano a dare la loro opinione. Caso mai dovrebbero spiegare quel che avviene, o si crede sia avvenuto, non giocare al besserwisser, come dire il grillo parlante.
E alla fine, la paga non è entusiasmante, un redattore alle prime armi in media arriva a 2.100 euro lordi. Una maestra d’asilo guadagna di più, e se lo merita. Tra le categorie più «desiderate» al primo posto troviamo come sempre i medici, e i giornalisti finiscono tra il dodicesimo e quindicesimo posto. Leggo che a Berlino i ragazzi, dell’età di quelli che sopportarono la mia lezione, preferiscono diventare poliziotto piuttosto che diventare mio collega. Anche le ragazze.
Il giornalismo è tra i dieci lavori più pericolosi per cadere in depressione. Secondo un recente sondaggio, appena il 40% dà un voto positivo ai giornalisti, contro il 93% che apprezza i vigili del fuoco, persino i portalettere ottengono il 53%. Non è una professione che offra prestigio sociale, se non per quei pochi che si conquistano un posto in qualche show alla tv. In stragrande maggioranza donne, non perché siano affascinanti, sono quasi sempre le più brave. E i giovani di talento finiscono per abbandonare il giornalismo. Vero, ma non del tutto. Sarà colpa dei miei inizi, ma sono convinto che i giornali e riviste potranno resistere alla concorrenza del web, se i miei colleghi continueranno ad andare sul posto e a raccontare quel che credono d’aver visto, e in più sapranno padroneggiare le nuove tecnologie. Magari nelle scuole di giornalismo dovrebbero far rileggere Hemingway e, perché no, Malraux o Malaparte. Tutti e tre gran bugiardi patentati, ma sapevano raccontare molto bene.