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 2019  ottobre 11 Venerdì calendario

Biografia di Richard Meier


Richard Meier, nato a Newark, proprio di fronte ai grattacieli di Manhattan, ma già nello stato del New Jersey, il 12 ottobre 1934 (85 anni). Architetto. Una fra le principali figure dell’architettura contemporanea • «Influenzata dalla lezione formale di Le Corbusier, la sua opera è riconosciuta come la più classica espressione del nuovo modernismo della seconda metà del Novecento» (Treccani) • Ha fondato, nel 1963, lo studio Richard Meier & Partners – due sedi, a New York e a Los Angeles, circa centotrenta progetti in tutto il mondo. Ne è stato amministratore delegato fino al 2018, quando fu accusato di essere un molestatore sull’onda del movimento MeToo • Premio Pritzker 1984, «il Nobel dell’architettura» • Ha realizzato quasi solo edifici bianchi: «Il bianco è il colore più straordinario. Nel bianco puoi vedere l’intero arcobaleno. Il candore viene sempre trasfigurato dal riverbero della luce, è scandito dalle posizioni del sole e della luna, riflette le configurazioni dei cieli, delle stelle e delle nuvole» (a Cloe Piccoli, la Repubblica, 14/7/2013) • «Specializzato nel gigantismo monumentale-meringata» (Michele Masneri, Il Foglio 11/04/2015) • Ha realizzato il Getty Center di Los Angeles, il complesso museale dove sono esposte le opere d’arte collezionate negli anni dal magnate Jean Paul Getty • Poi, il centro culturale di Ulma, in Germania, il municipio dell’Aia, la sede di Canal+ a Parigi, svariati alberghi, musei e grattacieli in quattro continenti • In Italia è conosciuto per le polemiche generate da due edifici, che lui realizzò a Roma: il Museo dell’Ara Pacis («un oggetto […] più texano che romano», Camillo Langone, Il Foglio, 6/5/2008) e «una celebre chiesa di Tor Tre teste che tutti criticano ma che nessuno si è spinto fino a visitare (ma dove sta, in definitiva, Tor Tre Teste? […])» (Masneri) • «Ma lui è specialista in ville della provincia americana, il suo capolavoro è una casa piena di ringhiere tra i boschi del Michigan, che può saperne di liturgia, architettura sacra, urbanistica» (Langone).
Premessa «È come la sua architettura. Elegante e rigoroso. Folti capelli bianchi e sguardo intenso, parla lentamente, misura le parole, distilla concetti con precisione» (Piccoli).
Vita «Ha sempre voluto fare l’architetto? “Sì”» (Vivian Marino, New York Times, 4/6/2010) • «È cresciuto a Maplewood, in New Jersey, era il più grande dei tre figli di Jerome e Carolyn Meir. Un giorno, Richard avrà avuto dieci o undici anni, un amico di famiglia gli aveva chiesto: “Cosa vuoi fare da grande?”. “L’architetto” rispose lui […] “Mi piaceva costruire cose – sai, barche giocattolo, piccoli modelli. Se sapevo cosa fosse davvero un architetto? Certo che no”» (Pranay Gupte, The New York Sun, 17/11/2005) • «Così è stato. Lo avevo deciso e l’ho fatto» (alla Marino) • «Ha studiato architettura alla Cornell University, sebbene suo padre – un ingegnere civile che aveva fatto carriera con la vendita di alcolici all’ingrosso  - avrebbe preferito mandarlo al MIT di Boston (Meier era stato ammesso anche lì)» (Gupte) • «La Cornell sembrava la scelta migliore, tutt’oggi ha un ottimo corso di architettura. La maggior parte delle altre università, come Princeton, Harvard e Yale, avevano solo programmi di specializzazione, non lauree. E io avevo fretta» (a Anna Winston, Dezeen, 9/12/2016) • «L’architettura, come ogni altra disciplina, richiede dedizione totale, lavoro duro, senza posa, ed è quel che ho fatto all’università» (Gupte) • «So che lei è ebreo. Pensa che la religione o la spiritualità abbiano giocato un ruolo nel suo lavoro lungo tutti questi anni? “Bella domanda. Be’, penso di avere un certo modo di guardare al futuro, sono convinto che ciò che facciamo è importante non solo per noi oggi, ma anche per le persone che vivranno tra venti o cinquant’anni. Ecco, questo forse. Il nostro lavoro deve avere una certa longevità. Dura più di quanto duriamo noi stessi» (Henry Urbach, Architechtural Digest, 1/5/2013) • Durante gli anni del college, Richard lavora anche per una gelateria e guida un furgoncino dei gelati • Lo attrae il modernismo. «Viviamo in tempi moderni, non è che ci fosse altra scelta. L’architettura contemporanea è realmente il modo di esprimere il tempo in cui viviamo, su questo non c’è mai stato il minimo dubbio» (alla Winston) • In particolare, gli piace Le Corbusier. «L’architetto francese è da sempre il suo riferimento. Ne ha studiato ogni opera e di ogni opera conosce ogni dettaglio. […] Nel 1957, fresco di studi, decise di andare a trovarlo a Parigi. “Pur non avendo ancora realizzato nulla, una mattina mi presentai al 35 di rue de Sèvres con una cartella di disegni sotto braccio, grandi idee e altrettante aspirazioni. Ma le cose non andarono esattamente come pensavo”, sorride. “Appena sentirono il mio accento americano mi sbatterono letteralmente la porta in faccia. Ma dato che ero arrivato fino a Parigi e che non sono uno che si dà per vinto tanto facilmente, il giorno dopo andai a visitare la Cité Internationale Universitaire per vedere i celebri edifici di Le Corbusier. Era il giorno dell’inaugurazione della Maison du Brésil. Stavo seduto su una panca all’interno quando lui arrivò, in anticipo sull’ora dell’inaugurazione, e praticamente si sedette di fianco a me. Mi feci coraggio e gli parlai. Gli spiegai che il mio più grande desiderio era quello di lavorare con lui. Gli dissi che Villa Savoye era il mio modello. E anche che avevo cercato di avere un appuntamento con lui ma che era stato impossibile ottenerlo. Tra le altre cose, Le Courbusier mi spiegò il motivo per cui il giorno precedente mi era stata sbattuta la porta in faccia: non voleva avere americani nel suo studio. E non ne voleva perché in alcuni concorsi, come quello per il quartier generale delle Nazioni Unite a New York e dell’Unesco a Parigi, era stato fortemente ostacolato proprio da gruppi americani...”» (Piccoli) • Meier viaggia attraverso il vecchio continente: visita Israele, la Grecia, la Germania, la Finlandia, l’Italia, la Danimarca • Nel 1959 torna in America e inizia a lavorare per uno studio di ingegneria, architettura e urbanistica, lo Skidmore, Owings & Merill. «Il suo capo, Gordon Bunshaft, l’uomo che aveva creato il Lever House [un grattacielo di New York, ndr] l’aveva preso in simpatia […] “Ma dopo sei mesi, mi sono accorto che non volevo lavorare in un ambiente così aziendale” ricorda Maier. Si licenziò. “Sei pazzo” aveva detto Bunshaft. “Perché andartene ora?”» (Gupte) • Per tre anni, Richard lavora per uno dei maestri del movimento moderno: «Marcel Breuer, ungherese, passato per Vienna, la Bauhaus di Weimar, e poi costretto dalle leggi razziali a emigrare, prima a Londra e poi a New York, dove nel 1956 apre il Marcel Breuer Associates. “ […] Per me quell’esperienza è stata fondamentale. Ancora oggi uno dei miei edifici favoriti è il Whitney Museum, il suo capolavoro”» • È il 1963 e Meier decide di aprire il proprio studio • «Era un palazzo senza ascensore tra la 91esima e Park Avenue, dove lui viveva e lavorava. Prese un treppiede per dipingere. Il tavolaccio da macelleria su cui mangiava gli serviva anche come scrivania. I disegni per decine di progetti nacquero lì sopra. Uno dei primi fu una mostra al museo ebraico […] Un altro fu la Lambert House, a Fire Island [a Long Island, sull’oceano Atlantico, a 2 ore di auto da Manhattan, ndr], il cui committente voleva spendere al massimo novemila dollari. Per rispettare il preventivo, Meier comprò telai di legno di una compagnia del Midwest che, fra l’altro, produceva materiale per casette di legno. “Ho dormito su una panchina per nove giorni, ma sono riuscito a fare quella casa con novemila dollari» (Gupte) • Poi «costruisce la Smith House, […] una magnifica casa nel Connecticut in cui distilla l’ispirazione moderna in un edificio di vetro e cemento, con pareti trasparenti che lasciano filtrare la luce naturale e al tempo stesso fanno sì che la costruzione si inserisca perfettamente in armonia nel paesaggio» (Piccoli) • Piace moltissimo, «attira così tanta attenzione, che per un periodo non può fare nient’altro» (Urbach) • Realizza una serie di villette unifamiliari che lo rendono celebre: la Hoffman House (1966-67) e la Saltzman House (1967-69) entrambe nel quartiere newyorchese di East Hampton, la Weinstein House a Old Westbury, sempre a New York (1969-71) e la Douglas House a Harbor Springs, nel Michigan (1971-73) • «È il 1967 quando, a trentatré anni, Meier viene consacrato definitivamente. A celebrarlo è il MoMa di New York, insieme ad altri quattro suoi colleghi: Peter Eisenman, Michael Graves, Charles Gwathmey, John Hejduk e Richard Meier vengono ribattezzati i “New York Five”. Tutti assolutamente devoti al Modernismo […] “Ci vedevamo a pranzo e a cena, discutevamo d’architettura ma, a dire il vero, non avevamo l’intenzione di formare un vero e proprio manifesto programmatico […] Diciamo che più che altro eravamo amici, e soprattutto che condividevamo il clima creativo della New York di quegli anni. È il periodo in cui ho frequentato le gallerie, da Leo Castelli a Ileana Sonnabend. In cui sono diventato amico di artisti come Frank Stella, con cui ho condiviso idee e progetti”. Come che sia i New York Five non passano inosservati. Nel 1972 Five Architects diventa un libro, mentre dalle colonne di Architectural Forum altri cinque architetti attaccano i Five: li chiamano i “Whites” e li definiscono sorpassati e monotoni» (Piccoli) • Era già l’inizio del Postmoderno e delle nuove teorie sull’architettura contemporanea. Ma Richard non si scompone, resterà sempre fedele al suo stile.
Premio Pritzker nel 1984 • «Onore a Richard Meier, per la sua determinazione nella ricerca della vera essenza dell’architettura moderna. Ha ampliato la sua gamma di forme per renderla coerente con le aspettative del nostro tempo. Nella sua ricerca di chiarezza e nei suoi tentativi di bilanciare luce e spazio, ha creato strutture personali, energiche, originali» • È il più giovane premiato di sempre.
Getty Center La sua opera più famosa, un complesso di edifici in travertino sulle colline tra Beverly Hills e Santa Monica • «La commissione del secolo» • Dodici anni di lavoro per realizzarlo, dice di averlo visto crescere assieme ai suoi figli.
Vita privata È stato sposato con Katherine Gormley, anche lei architetto. Due figli: Ana Meier e Joseph Meier.
Il mestiere «Credo che l’architettura sia parte di un continuum. Quello che facciamo oggi, pur relazionandosi alla storia, non deve avere lo stesso aspetto di ciò che è stato fatto nel passato, deve integrarsi con il presente» (a Nicola Leonardi) • «Se dovesse riassumere il suo processo creativo in due frasi, quali sarebbero? “Primo, capire il contesto in cui il progetto deve essere costruito; secondo, adattare le richieste del cliente a quel contesto”» (Stacy Shoemaker Rauen and Jennifer Young, Hospitality Design, 13/2/2018) • «“Io qui sono solo il capo, abbiamo un gruppo di persone che lavorano assieme, ciascuno dando un contributo. Il nostro non è il lavoro di un singolo, è il lavoro di molti, uniti da un obiettivo comune. L’architettura è uno sforzo collettivo” […] C’è un numero ideale di persone con cui si può collaborare? “Una cinquantina, tra le quaranta e le sessanta, ecco”» (Winston) • «Sono l’unico in ufficio che non ha il computer. Do uno schizzo a qualcuno e loro lo mettono sul computer. Poi io faccio le modifiche»
Bianco «Ha prodotto cosi tanti spazi acromatici da poter rivaleggiare con Moby Dick come simbolo del bianco» (Julie Lasky, Wall Street Journal, 10/2/2016) • Per la sua chiesa a Roma «voleva una superficie sempre bianca e per ottenerla sono state aggiunte al cemento delle nanoparticelle di ossido di titanio fotocatalitiche, in grado di determinare autopulizia della facciata: dopo dieci anni il colore della chiesa è rimasto identico a com’era all’inaugurazione, senza alcun intervento per pulirla» • Una volta – una sola - ha progettato un edificio nero: è una torre d 42 piani a New York: «Non è stata una mia decisione di progettare un edificio nero […] Il cliente è venuto da me e mi ha detto: “Richard, quello che fai mi piace davvero, ma vorrei un edificio nero. Saresti disposto a progettarne uno?” Beh, ho detto, perché no? Perché non provare qualcosa di nuovo? Si tratta di un edificio rivestito in vetro nero lucido. È stato quasi come avvolgere una pelle intorno ad una ossatura. È un progetto decisamente diverso da come sarebbe stato lo stesso edificio se avessimo deciso di farlo bianco».
Roma Caput Mundi «C’è il tempo di New York, il tempo di Tokyo e poi c’è il tempo italiano. Per l’Ara Pacis sono stati necessari dodici anni perché è stata una partita politica. […] Uno era a favore, il successivo era contrario, quello ancora dopo di nuovo a favore. Siamo passati da Rutelli, Berlusconi, Veltroni. Per fortuna ci sono stati Rutelli e Veltroni altrimenti non sarebbe mai stato realizzato. Qualcuno arrivava e diceva “Ci piace l’edificio, ma è nel posto sbagliato!” […] Sgarbi è venuto a trovarmi a New York dicendomi di cambiare il progetto. Aveva annunciato a Roma: “Convincerò Richard Meier a cambiare il progetto”. È venuto qui, ci siamo seduti, abbiamo parlato. Gli ho chiesto quali cambiamenti avesse in mente, mi ha risposto: “Non mi interessa, deve essere semplicemente modificato”. “Perché?” ho chiesto. “Perché ho detto che lo avresti fatto”. Gli ho spiegato che non avevo ragioni per fare modifiche, così è tornato in Italia dicendo: “Richard Meier è davvero ostinato. Non lo vuole cambiare.” Con la Chiesa è stato diverso. Ho vinto un concorso. Ci sono voluti dodici anni, perché il Vaticano non voleva spendere molto denaro. Avrebbero voluto che fosse tutto una donazione. Così ho detto: “Questi sono i disegni”. “Bene. Dobbiamo aspettare, dobbiamo trovare qualcuno che finanzi il progetto.” Fortunatamente hanno trovato delle ottime persone e siamo stati tutti coinvolti, ma c’è voluto tempo» (a Leonardi) • «Sono convinto che Meier, con le direttive giuste, possa realizzare qualcosa di buono, non è mica Mario Botta. […] Sosteneva Filarete che il vero padre di un’opera è il committente e così come il vero colpevole dello scatolone dell’Ara Pacis si chiama Rutelli il vero colpevole della chiesa monca di Tor Tre Teste sarà il monsignor Rutelli che ne ha approvato il progetto, dove Rutelli è il cognome-tipo del provincialismo di una città che fu Caput Mundi» (Langone)
Curiosità Nella giuria che gli assegno il premio Pritzker c’era anche Giovanni Agnelli • Peter Eisenman, architetto, uno dei “Cinque” di New York, è un suo secondo cugino (anche lui ha studiato alla Cornell, anche lui è nato a Newark) • A Richard piacciono i tortellini. La sua auto preferita è una Porsche 911 nera del 1977 • In casa ha un quadro dell’amico pittore Frank Stella dal titolo Union 4 • Tra gli edifici che ha realizzato, quello che gli è più caro è la casa di Essex Fells, in New Jersey: la casa per i suoi genitori • Per sé, invece, non ha mai fatto niente • In Italia, oltre alla teca dell’Ara Pacis e alla chiesa di Roma, ha firmato anche un ponte sul Tanaro ad Alessandria, un complesso residenziale a Lido di Jesolo e il centro studi della Italcementi, all’interno del parco Kilometro Rosso, in provincia di Bergamo.
Epilogo Laura Trimble Elbogen dice che nel 2009 Meier la fece entrare nel proprio appartamento, le offrì un bicchiere di vino, le mostrò foto di donne nude e le chiese di spogliarsi. Dice di essersi rifiutata, di essersene andata, ma di non aver detto niente per paura di perdere il posto. Dice di aver raccontato tutto ai suoi capi solo dopo essere stata licenziata. Lei aveva 24 anni, lui 75 • Poi c’è Alexis Zamlich, 22 anni all’epoca del fatto. Dice che nello stesso periodo lui si tirò giù i pantaloni di fronte a lei e di aver ricevuto 150mila dollari in cambio del silenzio • Lisetta Koe, sua ex dipendente, ha detto che Meier «ci ha provato con me, ma io l’ho respinto» • Ancora, Stella Lee racconta di essere stata invitata nel suo appartamento e di averlo trovato che indossava solo un accappatoio, aperto davanti • Judi Shade Monk dice che nel 2003, a una festa, lui le mise la mano sulla schiena, poi la spostò sul suo sedere e cominciò a toccarle le mutandine • E Carol Vena Mondt, oggi 70enne, dice che negli anni 80 a Los Angeles, Meier la invitò a cena con l’inganno (lei si aspettava ci fossero altri invitati), tentò di baciarla e di spingerla sul letto • Dopo che il New York Times pubblicò queste cose, Meier si dimise da capo del suo studio: «Sono profondamente turbato […] Benché abbia ricordi diversi, mi scuso con tutti quelli che posso avere offeso con il mio comportamento» • Il suo posto viene preso da Bernhard Karpf: «Il fondatore rimarrà disponibile per colleghi e clienti che vorranno usufruire della sua vasta esperienza e consulenza» • Gli affari, dice Karpf, non ne hanno risentito.