Corriere della Sera, 11 ottobre 2019
La rinascita di Federico Macheda
Un ragazzino di Ponte di Nona che si allena a parte, fuori rosa con gli Allievi della Lazio. Tiri in porta con le sagome a fare da scudo, qualche gioco di prestigio col pallone, tanta rabbia da sfogare. Così, quasi per caso, Federico «Kiko» Macheda è stato visto e scelto da un osservatore del Manchester United che lo portò in Inghilterra quando aveva 16 anni, per giocare nelle giovanili. Ma Macheda, attaccante strutturato e tecnico, fece colpo su Sir Alex Ferguson: al primo spezzone di partita con Ronaldo e compagni segnò un gol decisivo all’Aston Villa. Ripetendosi subito col Sunderland.
Esplose la «Kiko Mania» e niente fu come prima. Nemmeno la veloce discesa verso la normalità, fatta di tanti infortuni e troppe maglie cambiate di continuo, tra Premier, Championship e Bundesliga. «Sembra una storia da film – scherza lui – ma la verità è che il calcio mi ha dato tantissimo, anche in modo inaspettato. Sono molto fortunato. E adesso sento di poter tornare ancora ad altissimi livelli. Senza cercare rivincite, ma con la voglia di crederci».
Macheda a 28 anni è un ex baby fenomeno, con qualche rimpianto: «A 20 ci vorrebbe la testa dei 30, perché entri in un mondo molto più grande di te e la palla rischia di essere secondaria». Il suo tempo però è andato a riprenderselo ad Atene, con il Panathinaikos, dove l’anno scorso ha giocato la sua miglior stagione, segnando 11 gol. E adesso che l’Italia sfida la Grecia a Roma, la sua città, per lui non è una partita come le altre: «E pensare che in Grecia non ero mai stato, nemmeno in vacanza. Mi trovo benissimo, sia in campo che fuori, e gioco in un club storico anche se attualmente siamo esclusi dalle Coppe europee. Tra le due Nazionali ora non c’è paragone e si è visto all’andata, ma quello greco è comunque un calcio in fase di rilancio a livello di club: tatticamente non sono molto preparati, però tutti vanno a velocità massima e non è per niente facile. Poi ci sono partite molto calde, con una bellissima atmosfera: per me è il posto giusto, perché sono molto ambizioso, ho capito molte cose su di me, sono diventato padre. Nel mio futuro vedo di nuovo obiettivi importanti».
Come l’Italia, che è ripartita con il c.t. Mancini. E come la serie A, visto che l’effetto Ronaldo si è fatto sentire: «Giocare con Cristiano resta un ricordo che mi tengo molto stretto: era già un malato di allenamento e anche se aveva vinto già un Pallone d’oro lavorava il doppio degli altri. Mentre Ferguson sapeva tenere a bada un’intera società: una persona fantastica, che mi ha aiutato tanto. Il nostro calcio? Mi sembra che stia rinascendo, anche se per fare il salto di qualità mancano ancora gli stadi. In azzurro Mancini sta facendo un ottimo lavoro e i talenti ci sono. L’importante è farli crescere bene. Con la testa giusta».