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 2019  ottobre 11 Venerdì calendario

Ang Lee e la realtà virtuale. Intervista

LOS ANGELES «Mi affascinava il tema del doppio affidato a un umano e a un alter ego digitale. Tutti viviamo ormai una doppia realtà: la nostra quotidiana e quella dei computer». Il regista Ang Lee, due Oscar per la regia grazie a I segreti di Brokeback Mountain e Vita di Pi, ha cambiato registro rispetto al recente passato. Il suo spettacolare  Gemini Man con un doppio Will Smith è sui nostri schermi. 
Le nuove generazioni hanno una cultura «visuale». È per questo che ha deciso di andare in questa direzione?
«La tecnologia aiuta a visualizzare ciò che fantastichiamo. Ma non ha sostituito la lettura e l’immaginazione artistica. E io ritengo che gli effetti speciali nel cinema siano forme di “visual art”. La tecnologia permette di visualizzare ciò che è astratto».
Il cinema americano va sempre più in questa direzione?
«Non tutto il cinema americano, ma la collisione tra il cinema e le forme di cultura pop attrae registi e autori perché rappresenta un banco di prova non solo nella creazione dei blockbuster, ma nella ricerca di forme moderne o post moderne di espressione, senza necessariamente ricorrere ai supereroi».
Questo processo non va a discapito, come ritiene Scorsese, della qualità e a vantaggio della serialità, della standardizzazione?
«La tecnologia non serve solo a thriller d’azione, a film videogame. Con Gemini Man e il suo 3D volevo creare la tradizionale storia di una spia affidata anche allo spettacolo degli effetti speciali».
La tecnologia aiuta il cinema ad allontanarsi dalla tv, che oggi propone ottimi lavori?
«Il circuito delle sale e non certo solo in America, ha bisogno di qualcosa di diverso, di una magia o di un’illusione di magia». 
In «Gemini Man» il digitale diventa umano…
«Ogni regista che compie questo processo, sin dai primi film della saga di Star Wars ci si è resi conto che il digitale rende immersivo il cinema, lo porta in un nuovo mondo, quello digitale e innovativo. Io, comunque, in queste tecniche cerco sempre l’esperienza umana e le vibrazioni dell’anima. Se la tecnologia va di pari passo con le vite che una sceneggiatura racconta, il cinema può davvero offrire un ottovolante di sensazioni,immagini, situazioni. La realtà virtuale del cinema oggi deve raccontare storie, non affidarsi unicamente al potere degli effetti speciali».
Il cinema, però, ha bisogno di emozioni e non sempre i protagonisti «computer generated» possono darle…
«Ci sono tanti tipi di cinema oggi e ognuno può scegliere gli spettacoli che preferisce». 
Pensa che il pubblico andrà sempre meno in sala?
«No. La sala è il cinema e il cinema per me è come il jazz: sceglie un tema e poi ha una gamma di variazioni. Ogni film compie un viaggio sullo schermo e fa viaggiare la platea con lo stesso processo che opera la lettura. Gemini Man è un film di genere in 3D e la sopravvivenza dei generi aiuta il cinema. Il mio protagonista è un uomo complicato, un killer con una coscienza, cerca pace dai traumi del passato. In ogni film che faccio spero di far vivere al pubblico una storia, immedesimandosi in essa, non guardando solo l’odissea di un altro».