Corriere della Sera, 11 ottobre 2019
Conti, tassi sottozero: cosa cambia
L’argine è rotto. Anche in Italia le banche possono applicare tassi negativi sui conti correnti. L’ha annunciato Jean Pierre Mustier, amministratore delegato di Unicredit e presidente della Ebf, la federazione delle banche europee: dal 2020 l’istituto di piazza Gae Aulenti potrà chiedere ai clienti con «ben oltre 100 mila euro» in giacenza di pagare per lasciare sul conto corrente i soldi. Quanto? Potrebbe essere lo 0,50%: l’equivalente dei tassi negativi che la Banca centrale europea applicherà dal 31 ottobre alle giacenze degli stessi istituti di credito, dopo che il governatore uscente Mario Draghi ha portato i tassi dal -0,40% al -0,50%. Che impatto avrà sulle imprese questa manovra? E si potrebbe allargare ai correntisti con conti meno pingui?
Il calcoloIn Italia i conti correnti tra famiglie, imprese e pubblica amministrazione valgono 1.168 miliardi (agosto 2019, dato Banca d’Italia). Se per paradosso fosse applicato a questa cifra un tasso del -0,5%, per quello che nell’ambiente già si definisce «un servizio di custodia del denaro», sarebbero quasi 6 miliardi in entrata per le banche. Ma, sulla carta, non può succedere. Innanzitutto perché le banche pagano lo 0,5% solo su una quota dei soldi che parcheggiano presso la Bce: cioè la fetta che eccede la riserva obbligatoria moltiplicata per sei. A settembre la riserva obbligatoria valeva 15,8 miliardi: quindi le banche pagheranno lo 0,5% sui depositi in Bce eccedenti i 95 miliardi (15,8 x 6). Hanno fiato per evitare altri rincari, perché oggi di miliardi a Francoforte le banche italiane ne depositano solo 88. C’è un polmone di 7 miliardi.
L’altro motivo per non aspettarsi un -0,5% a tappeto è che, finora, anche all’estero, i tassi sottozero sono applicati solo sulle grandi somme. Le casse rurali tedesche, per esempio, oltre i 100 mila euro. E in Svizzera Ubs si appresterebbe a farlo per i correntisti sopra i 2 milioni di franchi, Credit Suisse sopra 1 milione.
I rendimenti attualiÈ chiaro, comunque, che non conviene tenere oltre 100 mila euro in banca. Anche perché sopra questa soglia non si è coperti dal Fidt, il Fondo italiano di tutela dei depositi. È il paracadute che protegge se la banca fallisce e rimborsa fino a 100 mila euro, appunto.
Inoltre i tassi per i risparmiatori sono già ai minimi storici. Il rendimento medio nei conti correnti tradizionali è zero (contro tassi passivi massimi intorno al 14%), ormai lo è anche nei conti online. I vincolati arrivano all’1%, con le promozioni (con picchi del 3% per fintech che devono farsi largo). Secondo l’ultima analisi dell’Economia del «Corriere» tra le maggiori banche, il costo per un conto è di 145 euro l’anno. Sommato all’inflazione, significa che diecimila euro lasciati fermi per cinque anni potrebbero ridursi a circa 8 mila. Situazione paradossale, ma rende l’idea: tenere i soldi fermi in banca già non conviene.
Le aziendeE le imprese? Sono quelle che dai tassi negativi verrebbero più colpite, perché hanno conti più nutriti e la loro liquidità è in aumento. In un anno i soldi messi in banca delle aziende, fra conti correnti, depositi vincolati e pronti contro termine, sono aumentati del 9,9% a 370,4 miliardi (dati Banca d’Italia, agosto 2018-2019). Una crescita doppia alle famiglie (+5,5%). Però i finanziamenti alle imprese stanno calando: -0,7% a 727,7 miliardi. Che significa? Che le imprese accumulano soldi in banca e non ne chiedono a prestito. Cioè non investono.
Perciò una conseguenza dei tassi sottozero è che si liberino risorse per l’economia reale. «Un’operazione come questa sopra i 100 mila euro può essere una spinta a movimentare i soldi – dice Andrea Montanino, capo economista di Confindustria —. L’imprenditore può metterli nell’azienda. E il risparmiatore in bond o nei Piani individuali di risparmio». L’alternativa è cambiare banca. Sempre che altri non seguano Unicredit: «È in atto un processo storico, con i tassi Bce all’1,50% del 2011 non sarebbe successo», dice un addetto ai lavori.