Corriere della Sera, 11 ottobre 2019
Marco e Marisa, sposi centenari
Lo ha aspettato per quattro anni, senza averne alcuna notizia. Andava ogni giorno a vedere l’elenco dei soldati uccisi affisso in stazione Centrale: «Il suo nome non c’era». Lui, tenente degli alpini nella campagna di Russia poi prigioniero dell’Armata Rossa, era dato per disperso, come tanti. Poi il rientro in Italia, il matrimonio, i tre figli, le gite in bici e in motocicletta, il lavoro, la pensione. Al 2019 ci sono arrivati insieme, con un secolo di vita, perlopiù passata vicini, alle spalle. Si tengono per mano nella loro casa di Milano Marco Razzini, centouno anni, e Maria Luisa Stradella («la mia Marisa, si chiama Marisa!», ripete Marco), cent’anni oggi.
«Continuo a pensare a tutto quello che ho fatto in una vita», dice Marisa, classe 1919. L’infanzia a Vittuone (Milano), il liceo artistico di Brera, un biennio propedeutico all’Università di Architettura e il concorso a Roma: «Ho vinto la cattedra per insegnare alle superiori». Professoressa di disegno e storia dell’arte fino a 60 anni: al liceo scientifico di Luino, poi alle medie di via Ariberto a Milano. Mostra il libro di storia dell’arte che ha scritto e i suoi disegni: «Disegno tutti i giorni, per tenermi allenata», dice mentre si tocca la mano irrigidita dall’artrosi.
Marco Pensavo a quanto è bella la storia: nell’ottobre del 1942 ero in Russia sopra la Kalitva, l’affluente del fiume Don, dove la 17° compagnia del Dronero, la mia, doveva tenere le posizioni prima della ritirata. Oggi sono qua a raccontarlo
Conosce Marco nel 1941. «Tornavo da Monza – racconta lui —, sul viale ho incontrato questa fanciulla. C’erano le viole e le margherite, lei aveva una bicicletta. “Ha bisogno di una mano?”, le ho chiesto». Gli occhi di Marco vedono ormai solo sagome e ombre, ma la sua mente ha registrato date e fatti per una vita e li restituisce precisi. Nato a Lacchiarella (Milano) il 26 aprile 1918, primo di cinque figli, gli studi da geometra, poi in Scienze Economiche alla Cattolica e la scuola per allievi ufficiali universitari Alpini a Bassano del Grappa. «Nel 1939 è arrivata la cartolina rosa: dovevo presentarmi a Cuneo alla caserma del secondo reggimento alpini». Viene dirottato a Dronero, in Piemonte, fino al primo agosto 1942, data della partenza per la Russia. «Dalla stazione di Busca fino a Loscina, attraversando il Brennero, la Germania, la Polonia, Varsavia distrutta. Da lì, 320 chilometri di marcia per arrivare sul fiume Don dove tenere il fronte». Il 17 gennaio ‘43 inizia la ritirata del Corpo d’armata alpino fino al tragico 28 gennaio: «Arrivati a Valujki i russi ci hanno fatti prigionieri». La marcia per giorni, nel ghiaccio, senza cibo, verso il lager di Crinovaia prima, di Oranchi dopo: «Non ci sono parole per descrivere quello che abbiamo vissuto, bastano i numeri: qui sono morti l’80 per cento degli ufficiali italiani. I soldati li avevano mandati in Siberia». Passerà almeno in altri cinque lager prima del rientro a Milano, il 16 luglio 1946. Qualche giorno prima, il tenente Delmare, che era stato prigioniero con Marco, era riuscito a tornare e a dare a Marisa un foglietto: «Marco Razzini è vivo». L’aveva scritto lui, sperava che arrivasse alla ragazza che avrebbe sposato il 24 maggio del ‘52. Oggi Marco – ex procuratore di agente di cambio alla Borsa di Milano, poi alla Finanziaria Milanese e al Credito Agrario Bresciano – non è pessimista, ma vive, dice, nella realtà. «Mi dicono continuamente come porto bene gli anni. Ma che bene! Ogni giorno è una conquista, una fatica. Mi dispiace essere un peso per gli altri. E i miei occhi...». Accanto a lui Marisa gli riprende la mano: «Vedo ancora io per lui», poi aggiunge: «Ma lui sente meglio di me. Ci completiamo ancora, dopo cent’anni».