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 2019  agosto 23 Venerdì calendario

Intervista a Isabelle Huppert (su "Mary Said What She Said")

PARIGI Gli ultimi momenti di vita di una sovrana condannata a morte. Il corpo sottile, il viso pallido, la silhouette che si muove agile sul palco. Isabelle Huppert è Maria Stuarda poco prima di essere decapitata. Lo spettacolo, «Mary said what she said» (Maria ha detto ciò che ha detto), basato sulla pièce di Darryl Pinckney con la regia di Bob Wilson, è una coproduzione internazionale del Théâtre de la Ville di Parigi e il Teatro della Pergola di Firenze, dove sarà in esclusiva dall’11 al 13 ottobre. «È una donna al termine del suo percorso esistenziale — spiega la grande attrice francese —. Dopo una lunga dolorosa prigionia, è alla sua veglia funebre, qualche istante prima di salire sul patibolo, e guarda indietro la sua storia tempestosa: le sue ultime parole prima di affrontare la scure del boia».

Per la sua interpretazione lei è stata ribattezzata la Regina Isabella di Scozia del teatro. Che effetto le fa?

«Bè, è facile ammettere che sono contenta, ma non voglio prendermi meriti che non sono miei, bensì del regista. Dal bel monologo di Pinckney, Wilson ha imbastito una messinscena poetica sul senso profondo di un destino segnato, quello di una donna che ha avuto una vita piena di contrasti, di guerre, di lutti, e che si è conclusa tragicamente».
E non è la prima volta che viene diretta dal regista americano...

«Tra noi quasi un sodalizio artistico. Sono stata per lui “Orlando”, sempre di Pinckney dal celebre romanzo di Virginia Woolf, e poi in “Quartett” di Heiner Müller. Bob è un genio assoluto e ha saputo rendere il mio personaggio astratto, visionario. Si affastellano le sensazioni impalpabili di chi è sul punto di transitare nell’aldilà e non ha più nulla di terreno. Non è una recita, la mia, è un respiro e mantenere tale equilibrio non è molto semplice».

Una nuova sfida per lei?

«Sfida? Non ho mai dovuto affrontare grandi sfide, né superare ostacoli insormontabili, forse perché ho avuto la fortuna di lavorare con grandi registi».
Da Chabrol a Preminger, da Godard a Losey, da Chéreau a Haneke, Verhoeven e poi Marco Ferreri, i Fratelli Taviani, Mauro Bolognini... Quale l’insegnamento più incisivo che ha ricevuto?

«Non ho mai avuto particolari rivelazioni. Semmai hanno sollecitato qualcosa che già avevo dentro di me senza saperlo. È il percorso naturale nella carriera di un attore».
Una carriera iniziata molto presto, a 18 anni, incoraggiata da sua madre. Anche lei ha incoraggiato sua figlia Lolita Chammah a intraprendere il suo stesso mestiere?

«Non aveva bisogno di essere incoraggiata, né consigliata, aveva le idee molto chiare. Sono molto fiera delle sue scelte».
Avete spesso lavorato insieme: Lolita ha mai temuto il confronto con una madre-icona ingombrante?

«Un timore che non l’ha nemmeno sfiorata. Mia figlia ha una personalità ben definita».
Gli altri due figli, Angelo e Lorenzo, non fanno gli attori...

«No, però gravitano nell’ambito dello spettacolo: Angelo studia cinema a New York e Lorenzo gestisce due nostri cinema d’essai a Parigi».
Dove proietta anche i film di sua madre?

«Veramente in questo periodo si è appassionato a Dario Argento, di cui ha fatto una retrospettiva...».
Lei rappresenta un modello per molte giovani attrici. Ne avverte la responsabilità?

«Siamo tutti dei modelli per i giovani, ma sento di avere delle responsabilità solo verso me stessa».
Qualche scelta sbagliata?

«Sicuramente ci sono stati ruoli che hanno più esaltato la mia crescita, altri meno, però non li considero errori».
Tra i numerosi premi ricevuti, quello che l’ha maggiormente stupita?

«I due Golden Globe per “Elle”, un film che negli Stati Uniti non aveva incontrato un grande favore del pubblico».
Cinema, teatro, televisione. Dove si sente più a suo agio?

«Il teatro è un’avventura eccezionale. È più pericoloso e faticoso recitare davanti al pubblico dal vivo».
Esiste un ruolo che vorrebbe affrontare?

«Un personaggio maschile: è bello passare dall’altra parte dello specchio, dover pensare in modo opposto al mio».
Se non avesse fatto l’attrice, che mestiere avrebbe fatto?

«Non ci ho mai pensato. Bè, credo che avrei fatto la cantante. Ma cantare, in fondo, è come recitare».