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 2019  ottobre 10 Giovedì calendario

Meno male che i balordi che girano fra la gente con il machete in mano sono solo dei malati mentali. È un bel sollievo, credetemi

A Fermo si è sfiorata la strage. Centinaia di studenti che uscivano alla fine delle lezioni si son trovati a poca distanza da un balordo nigeriano armato di machete il quale, nella sua confusione rabbiosa, ha fortunatamente scelto di sparire; l’hanno trovato qualche ora dopo sul mare, e qui l’hanno neutralizzato. L’individuo, che da giorni si aggirava al cimitero dove rapinava i mesti visitatori con un coltello, è stato arrestato e il gip gli contesta il tentato omicidio, ma è lecito supporre che non se ne farà niente, stante la immancabile esimente del presunto stato di alterazione mentale: ormai siamo diventati il manicomio d’Europa.La cosa è stata presa con una sorta di osceno sollievo: meno male, è andata a finir bene. Ma che cosa staremmo a scrivere adesso se quella scheggia impazzita ne avesse decapitati cinque o dieci? È lecito cavarsela col fatalismo del «non è successo niente»? Fino a quando? Ad atterrire non è tanto la presenza di balordi, regolarmente clandestini, che girano armati per le nostre strade quanto l’abitudine che ce ne siamo fatta, nella totale mancanza di reazione: la polizia è impastoiata (e i risultati si vedono), la magistratura è improntata a un atteggiamento di assurda tolleranza. A Cecina un russo che aveva pestato due agenti, provocando a una di loro una ischemia, è stato immediatamente scarcerato e sottoposto a un comico obbligo di firma; l’opinione pubblica oscilla tra fatalismo e compiacimento mascalzone: «Solo un episodio isolato. E allora gli italiani?».
Episodio isolato, dicono gli ipocriti rettopensisti ma la cronaca registra uno stillicidio di «episodi isolati», quattro, cinque, dieci al giorno dalle Alpi a Capo Passero: treni, metropolitane, questure, scuole, cimiteri, negozi, marciapiedi, uomini, donne, giovani, anziani nessuno si salva da questa demenza feroce che non è demenza: i presunti lunatici, a un sommario esame, risultano perfettamente «inseriti nel tempo e nello spazio»; è vero invece che queste mine vaganti si sballano con droghe tagliate male e alcool di infima qualità, dopodiché perdono completamente il senno residuo e sfogano una rabbia priva di freni e di civiltà. Sapendo che, tutto sommato, non rischiano granché.
Il combinato disposto di tante variabili impazzite (queste sì, queste davvero) crea una fluttuazione di ordinario terrore: dopo Francia, Germania, Inghilterra, Belgio, Olanda, Danimarca, Spagna, Svezia (tutti paesi pentiti di una accoglienza incontrollata e irresponsabile) stiamo anche noi arrivando allo scongiuro dell’«a chi tocca, tocca», nella consapevolezza che non si può e soprattutto non si vuole (o il contrario, cambia poco) porre un freno quale che sia.
Ci si affida allo stellone, al cinismo, al sollievo osceno, aspettando la strage che verrà. Perché prima o dopo verrà, questo ormai diventa chiaro ogni giorno di più, sia in una sinagoga in Sassonia o in una questura a Parigi. Il capo della Polizia ha appena ammesso ciò che si sapeva e cioè che i clandestini non sono i cinque o seicentomila dichiarati ma 4 volte di più, li ha quantificati in 2,2 milioni: un esercito di potenziali scombinati, una moltitudine spaventosa, che diventa terrificante constatando l’apatia, la rassegnazione in cui simili soggetti si agitano: gente disposta a tutto, senza niente da perdere ma per la sinistra, che ha subito ripreso a consentire sbarchi alluvionali, è bastato rimuovere l’uomo nero Salvini per risolvere tutti i problemi; se uno confessa la sua paura, basta mandare avanti gli intellettualini col repertorio dei loro insulti: farabutto, sovranista, fascista, xenofobo.
E se qualcuno ci lascia la pelle o almeno la faccia, sia poliziotto, controllore, bottegaio o passante (preferibilmente femmina), «non bisogna strumentalizzare», come diceva quell’attricetta che, presa a pugni in faccia, col volto tumefatto si affrettava a dichiarare: io non cambio idea, ci vuole più accoglienza, restiamo umani. Una giornalista è arrivata a liquidare come «incidenti sul lavoro» i due agenti ammazzati a Trieste da un balordo dominicano. Una simile politica dello struzzo è diventata endemica, ha contagiato non pochi settori di una pubblica opinione che ha una fottuta paura ma se ne guarda bene dal confessarlo per non passare da reazionaria. E intanto i balordi col machete vagano per i nostri percorsi, persi nella loro nuvola rossa di ferocia.