il Fatto Quotidiano, 10 ottobre 2019
Inchiesta sull’affare del nuovo San Siro
Il calcio è magico. E lo stadio di San Siro di notte magiche ai tifosi ne ha regalate tante. Ma nei prossimi mesi ci stupirà. Sta per scoccare la più grande magia della sua storia: la moltiplicazione dei milioni e del cemento. Milan e Inter hanno infatti chiesto al sindaco di Milano il via libera per costruire un nuovo stadio e abbattere quello vecchio. I giornali si sono concentrati sugli aspetti estetici del nuovo derby: è più bella la “cattedrale” trasparente disegnata da Populous o il “doppio anello” progettato da Manica-Cmr? Già escluse altre due proposte, lo “stadio verde” di Stefano Boeri e quello degli americani di Hok. Ma a ben guardare, la storia del nuovo San Siro ha poco a che fare con lo stadio e il calcio e molto invece con grattacieli, alberghi, spazi commerciali: è un’operazione immobiliare da 1,2 miliardi di euro. Ecco la magia, la zucca che si trasforma in carrozza: un’area di 250 mila metri quadrati, oggi destinata ad attività sportive, con un tocco di bacchetta magica viene trasformata in area edificabile. La bacchetta magica si chiama legge sugli stadi e permette a Milan e Inter di chiedere un indice di edificazione di 0,70 (il doppio di quanto è concesso ai comuni mortali nel resto di Milano, 0,35).
Protagonisti di questa saga: due squadre aliene di cui non si conoscono i proprietari; Paolo Scaroni, presidente del Milan; Alessandro Pasquarelli, amministratore delegato del gruppo Yard; Ada Lucia De Cesaris, capo dei renziani di Italia Viva a Milano; il sindaco Giuseppe Sala, incerto se dire sì all’operazione.
Macché sport, largo ai grattacieli!
Lo stadio di San Siro c’è già. Funziona. Volendo, lo si può ristrutturare e ampliare. C’è un progetto che si chiama Re-thinking San Siro (ripensare San Siro) che dimostra come si possa farlo nuovo: abbattere il terzo anello, ricostruire il primo, togliere le sette torri laterali, edificare un nuovo blocco sul lato ovest e installare una nuova copertura.
Questi interventi sarebbero sensati se si volesse davvero rinnovare “la Scala del calcio”. Ma non è questo l’obiettivo dei misteriosi padroni di Milan e Inter. Quello che vogliono è costruire, con la scusa dello stadio, un nuovo quartiere con negozi, uffici, centro commerciale, ristoranti, cinema, spazi per concerti e spettacoli. Un paio di grattacieli svettano nel progetto Populous (il colosso Usa che ha fatto prima lo studio di fattibilità e poi, in evidente conflitto d’interessi, ha presentato la sua proposta), ma anche in quello Cmr-Sportium con l’architetto statunitense David Manica.
Ristrutturare il Meazza costa troppo, dicono Milan e Inter: oltre 500 milioni, a cui si sommano 115 milioni di mancati introiti perché sarebbe necessario sospendere le partite per cinque anni. Costruire lo stadio nuovo costa invece 650 milioni. Fidarsi di queste cifre è però come chiedere all’oste se il suo vino è buono. Del resto, c’è in Italia un esempio di ristrutturazione realizzata senza perdere una sola partita: quella dello stadio Friuli di Udine, che certo è molto più piccolo di San Siro, ma che comunque è stato rinnovato in due anni senza mai interrompere le attività.
Ma se ristrutturi il glorioso Meazza ottieni soltanto uno stadio rinnovato. Se invece lo abbatti e lo edifichi nuovo, grazie alla legge sugli stadi puoi costruire un sacco di roba attorno che con gli stadi non c’entra nulla, ma che fa incassare una montagna di soldi. Certo, bisogna dimenticare l’articolo 305 della stessa legge sugli stadi: “Gli interventi (…) sono realizzati prioritariamente mediante recupero di impianti esistenti”. Ecco dunque i nuovi progetti, che permettono di realizzare il vero affare, che non è lo stadio: 180 mila metri quadrati di spazi commerciali, 66 mila di uffici, 15 mila di hotel, 13 mila per intrattenimento, 5 mila di spazio fitness, 4 mila di centro congressi.
Interesse pubblico? Non esattamente…
La legge sugli stadi prevede che l’operatore privato (in questo caso Milan e Inter alleati) presenti un progetto, poi l’amministrazione pubblica (il Comune di Milano) ha 30 giorni per stabilire se è d’interesse pubblico. Se l’amministrazione non decide in questi tempi, la pratica passa al governo. Per San Siro i 30 giorni scadono oggi, 10 ottobre 2019: ma il termine sarà prorogato. Anche perché è complicato definire d’interesse pubblico un’operazione immobiliare privata su terreni pubblici dopo aver abbattuto uno stadio pubblico: sia i terreni sia il Meazza sono infatti proprietà comunale.
“Perché il Comune non fa una vera gara?”, si chiede Luca Beltrami Gadola, direttore dell’autorevole giornale online Arcipelago Milano. “È un affare privato: dove sta la pubblica utilità? Il sindaco Sala dovrebbe stare anche attento alla Corte dei conti: non sta cedendo ai privati un valore che dovrebbe invece rimpinguare le casse comunali?”. Al Comune arriverebbero soltanto 55 milioni come oneri d’urbanizzazione e 5 milioni all’anno come canone, per una concessione di 90 anni. Mentre i ricavi stimati dalle squadre sono di quasi 200 milioni l’anno (70 dallo stadio e 125 da quello che chiamano “polo ricreativo”), con il rientro degli investimenti in 32 anni.
“È un regalo ai due club”, sostiene anche Basilio Rizzo, decano dei consiglieri comunali. “Adesso il sindaco vuole coprirsi con un voto del consiglio, ma che cosa votiamo? Io non voto prima di vedere le 750 pagine che Milan e Inter hanno depositato a Palazzo Marino e che non vogliono farci vedere. Se non mi mettono a disposizione le carte, mi rivolgerò al Tar”. Oltretutto, conclude Rizzo, “ridurranno i posti, da 80 a 60 mila, e aumenteranno i prezzi dei biglietti”. Protestano anche gli abitanti del quartiere: perché lo stadio nuovo dovrebbe essere costruito a soli 60 metri dalle abitazioni.
Chi c’è dietro? Il mistero della proprietà
David Gentili, presidente della Commissione comunale antimafia, è preoccupato per l’opacità di chi propone l’operazione: “Le normative antiriciclaggio impongono di sapere chi sono le persone fisiche che stanno dietro all’affare. Il Comune di Milano, dopo i rilievi dell’Anac (l’Autorità anticorruzione), si è riservato di non assegnare gli spazi in Galleria alle società che non dichiarano i propri titolari effettivi. Nel caso di Milan e Inter, abbiamo oscure catene di comando che si perdono nei paradisi fiscali delle Cayman, del Delaware, del Lussemburgo”.
L’azionista di maggioranza dell’Inter è Suning Holdings, società cinese di Zhang Jindong, che possiede il 68,55 per cento. “Alle Cayman”, ricorda Gentili, “sta il 31 per cento dell’Inter: controllato da Lion Rock, il fondo di Hong Kong guidato da Daniel Kar Keung Tseung, che ha acquistato (per conto di chi?) le quote di Tohir”.
La proprietà del Milan è un enigma ancora più grande. Il cinese Li Yonghong ha pagato alla Fininvest di Silvio Berlusconi oltre 600 milioni per avere la squadra e poi l’ha persa perché non è riuscito a trovarne altri 32. Strana storia, ma così i soldi sono girati, estero su estero, e il Milan è diventato, almeno apparentemente, americano: del fondo Elliott, che detiene il 99,93 per cento del club attraverso la lussemburghese Rossoneri Sport Investment Lux. La faccia che si vede, prima e dopo il kamasutra finanziario, è sempre quella di Paolo Scaroni, il più berlusconiano dei manager italiani, presidente del Milan e vicepresidente di Rothschild, la banca d’affari che, guarda caso, aveva garantito “la completa affidabilità finanziaria” di Mr. Li. Quello che è trasparente invece è che i bilanci sono in rosso: 33 milioni per il Milan, 18 per l’Inter. Che cosa c’è di meglio, allora, di una succulenta operazione immobiliare per rimettere in sesto i conti? Ci sta pensando Goldman Sachs: la banca d’affari, già advisor dell’Inter per cui ha emesso un bond, ha preparato il piano finanziario dell’operazione. Lo studio di fattibilità è stato messo a punto da Yard, sviluppatore immobiliare che ha tra gli azionisti il gruppo DeAgostini e come amministratore delegato Alessandro Pasquarelli (ex ad di EuroMilano). Resta da segnalare un’altra perla del “Modello Milano”. Nel gruppo di chi tratta con Sala per far riconoscere “l’interesse pubblico” all’operazione, c’è Ada Lucia De Cesaris, partner dello studio legale AmmLex, che lavora per le squadre ed è stato fondato da Guido Bardelli, già presidente della ciellina Compagnia delle opere. È la stessa Ada Lucia che fu vicesindaco di Milano e assessore all’urbanistica e che è appena passata dal Pd a Italia Viva, il nuovo partito di Matteo Renzi.