La Stampa, 10 ottobre 2019
Freud e Roma
Il 23 settembre del 1939, Freud muore esule a Londra. Per il calendario ebraico era sabato e Kippur, il giorno il cui cielo e la terra s’incontrano. Freud visitò in lungo e in largo l’Italia: ben 15 visite. Con Roma che visitò sette volte, il rapporto fu più complicato, carico di attese e di ambivalenze irrisolte, che solo nel 1901, riuscì a superare.
«Avevo dieci o dodici anni - scrive in una pagina dell’Interpretazione dei sogni - quando mio padre incominciò a portarmi con sé nelle sue passeggiate e a rivelarmi nelle conversazioni le sue opinioni sulle cose di questo mondo. Così, una volta mi fece questo racconto per dimostrarmi quanto migliore del suo fosse il tempo in cui ero venuto al mondo io. ’Quand’ero giovanotto- mi disse- un sabato andai a passeggio per le vie del paese dove sei nato. Ero ben vestito, e avevo in testa un berretto di pelliccia, nuovo. Passa un cristiano, e con un colpo mi butta il berretto nel fango urlando: ’Giù dal marciapiede, ebreo!’ ‘E tu che cosa facesti?’, domandai io. ‘Andai in mezzo alla via e raccolsi il berretto’, fu la sua pacata risposta. Ciò non mi sembrò eroico da parte di quell’uomo grande e robusto che mi teneva per mano. A questa situazione, che non mi soddisfaceva, ne contrapposi un’altra, molto meglio rispondente alla mia sensibilità, la scena cioè in cui il padre di Annibale, Amilcare Barca, fa giurare al figlio davanti all’ara domestica che si vendicherà dei romani. Da allora in poi Annibale ha avuto un posto nelle mie fantasie».
Quasi fosse Annibale, in una delle sue visite in Italia, Freud si è fermato sul Lago Trasimeno, rimandando a un’altra occasione l’incontro con Roma.
In uno dei suoi sogni, Freud si ritrova nella «città eterna», ma ne è deluso. Invece del biondo Tevere c’è «un fiumiciattolo dalle acque scure». Freud si sforza nel sogno di vedere una città, che non ha ancora visto da sveglio. Nel sogno incontra il «signor Zucker» al quale chiede informazioni. Le associazioni del sogno sono emblematiche dei suoi tormenti a causa dell’antisemitismo. Sullo sfondo del lutto per la morte del padre, egli ha aderito al movimento dei B’nai Brith, e in seguito guarderà con simpatia alla Dichiarazione Balfour. La storiella umoristica ebraica fa riferimento a un viaggiatore ebreo, povero, che sale su treno per Karlsbad senza avere fatto il biglietto. A ogni stazione è cacciato fuori sempre più duramente, ma egli riprova col treno successivo. Zucher, in tedesco vuol dire «zucchero». Ma in ebraico vuol dire ricordare («zakhor»). Freud non lo dice espressamente. Le associazioni vanno però in questa direzione. Il biglietto che il viaggiatore non può, o intende acquistare, è il simbolo del passaporto di ingresso in una società che rifiuta l’ebreo e gli chiede di odiarsi per essere accettato.
La sera prima, il 4 gennaio 1898, Freud va con la famiglia sua e dell’amico Fliess a teatro per la prima di Das Neue Ghetto. L’autore dell’opera è Theodor Herzl, un ebreo viennese di origine ungherese che l’anno prima, ha fondato a Basilea il movimento sionista. Nello stesso anno Freud ha scoperto il Complesso di Edipo e nei territori di residenza coatta dell’Impero zarista, nasce il Bund, la prima organizzazione socialista e democratica dell’Europa orientale. Una serie di coincidenze che fanno riflettere. Il tema centrale dell’opera di Herzl, è che nuovi invisibili bastioni hanno sostituito le mura di cinta degli antichi ghetti.
La notte Freud fa un sogno in cui «la questione ebraica, la preoccupazione per il futuro dei figli, ai quali non si può dare una patria» e «la preoccupazione di educarli in modo che possano diventare liberi di varcare le frontiere», assumono una valenza centrale. A dominare è l’angoscia, ma anche la speranza. «A causa» di avvenimenti «capitati a Roma» è «necessario far partire i bambini». Freud è seduto sull’orlo di una fontana, è molto rattristato, quasi piange. Portato in braccio da una donna, uno dei figli dà il suo bacio di addio. Porgendo la mano per salutarla dice: «Auf geseres». Al padre o a entrambi, aggiunge: «Auf ungeseres». Geseres, è una parola yiddisch di derivazione ebraica, che Freud conosce e indica uno stato di sofferenza e di fatalità. A dominare sono le immagini dell’esodo, con la fuga dall’Egitto.
Nel corso della sua prima visita, Freud contemplerà «indisturbato» «l’antica Roma». Potrebbe inginocchiarsi «in adorazione» davanti «all’umile e mutilato tempio della Minerva». Non gli è però possibile «godere liberamente» della «seconda Roma». A impedirlo sono «i principi». Ma c’è dell’altro, che lo amareggia: l’antisemitismo. La Roma italiana al contrario gli appare «simpatica», «piena di promesse». Nel 1912 visiterà quotidianamente la statua del Mosè. Ferito dalla rottura con Jung, troverà consolazione nel fitto dialogo che intrattiene con le segrete intenzioni che Michelangelo ha racchiuso nella statua. Freud immagina di trasferirsi a Roma quando sarà vecchio. La storia prenderà nei due decenni successivi una piega diversa e tragica.