La Stampa, 10 ottobre 2019
I kit per il test del Dna
Ci sono kit che arrivano comodamente a casa. Si apre l’imballaggio, si estrae il tampone e lo si passa sull’interno della guancia, in modo da fargli captare importanti informazioni su di noi, quelle che - fuor di metafora - ci rendono unici al mondo. Poi si rispedisce il tutto al mittente, che analizzerà il patrimonio genetico intrappolato in quella «cannuccia». A risultati ottenuti potremo decidere la destinazione del nostro prossimo viaggio.
Già, perché nell’era dell’assedio dei turisti alle bellezze del pianeta (1,4 miliardi i viaggiatori nel 2018, +5% rispetto al 2017), la nuova frontiera è l’itinerario su misura sulle orme dei propri antenati. E cosa c’è di più personale di un viaggio creato in base al proprio Dna? Così, dopo l’alimentazione - con le diete create a seconda del genoma -, questo test che un tempo era legato perlopiù a motivi medici o a dubbi sulla paternità promette di indirizzare le scelte dei turisti del futuro.
Lo racconta uno studio presentato dalla docente di Semiotica dell’Università di Torino Laura Rolle a Ttg, la fiera del settore in corso a Rimini, e lo confermano le testimonianze raccolte da Lonely Planet in Best in Travel 2019, che inserisce i «viaggi genetici» tra le tendenze insieme a quelli on the road ma rigorosamente ecologici e alle esperienze di realtà aumentata.
Il viaggio del futuro è un (vago) ritorno alle origini. Perché l’esame del Dna permette di ottenere informazioni sulla provenienza dei propri avi. Il canadese Siya Zarrabi di Lonely Planet ha fatto il test per lavoro e ha scoperto di essere asiatico occidentale per il 46%, europeo (49%), iberico (2%), nordafricano (1%), asiatico meridionale (0,5%), nativo americano (0,5%), coreano-giapponese (1%). Un 1% che lo ha spinto a esplorare il Giappone.
Tutto questo a quale prezzo? Le critiche - di fronte al boom dei test genetici - non mancano e pongono interrogativi sulla riservatezza dei dati, sui rischi di fornire e diffondere proprio ciò che ci identifica come unici.
In un mondo connesso virtualmente in cui è difficile mantenere vivi i legami reali, c’è però chi trova affascinante l’idea di calpestare le terre dei propri avi. Il viaggio del futuro, insomma, è un viaggio nel passato. D’altronde il Dna viene ormai usato anche dai paleoantropologi per indagare sulle migrazioni della nostra specie. Un viaggio lungo 200.000 anni che ognuno di noi si porta già addosso.