Corriere della Sera, 10 ottobre 2019
Pietro Maso si racconta in tv
«Don Johnson era il mio guru: così bello, così giovane, così pieno di vita, così unico. Miami Vice proponeva una visione aperta, mai vista... il fascino di una Ferrari bianca, ecco la personalità». È anche in questo humus televisivo di edonismo travisato che Pietro Maso coltiva la folle, inumana e indicibile impresa per cui tutti lo conoscono. Uccidere i genitori – in modo brutale – per entrare in possesso della loro eredità. Lui è il ragazzo che decise di immolare non solo la sua vita al dio Denaro, l’unico «valore» in grado di fargli provare dei «sentimenti». E fa ancora più impressione sentirlo raccontare dalla sua stessa voce nell’intervista esclusiva che Maso ha concesso al canale Nove (Io ho ucciso, stasera, ore 21.25).
Era il 17 aprile 1991 quando, allora diciannovenne, nella sua casa di Montecchia di Crosara (Verona) uccise entrambi i genitori. Venne arrestato due giorni dopo e condannato a 30 anni di carcere. Dopo averne trascorsi 22 da detenuto, è stato rimesso in libertà nel 2015.
Maso, abbronzato, camicia aperta e jeans, ripercorre la sua vita. Da ragazzino passò un anno in seminario, ma poi tornò a casa («Fu la mia prima grande sconfitta: lì mi sentivo accettato»). Il calore è quello che – sostiene lui – mancava tra le mura domestiche: «A tavola non si parlava mai di noi, non ho mai sentito parole di affetto, così mi adeguai allo stile di vita». Un’indifferenza agli altri che in lui diventa vuoto cosmico e amorale. Lì ha modo di attecchire il mito fatuo di Miami Vice e Don Johnson: «Nella mia testa ero uguale a lui, volevo stupire a tutti i costi, per avere gli occhi addosso mi mettevo le cose più vistose. La punta è stata quando mi sono presentato in discoteca con la tuta da sub, gli anfibi e l’accappatoio». Fino al piano folle e delirante: «Faccio qualcosa che gli altri non potranno mai fare, uccidere i miei genitori». Dietro c’era il continuo e incessante bisogno di soldi, perché conduceva una vita al di sopra delle sue possibilità (una sera si accese le sigarette con le banconote da 100 mila lire). «Avevo bisogno di avere il portafoglio sempre pieno». Il buio è dentro di lui, una notte a cui non segue mai il giorno: «Non ero mai soddisfatto. Ridevo, ma ero morto. Maso ha soffocato e fatto sparire Pietro. Ero un morto che camminava». Arriva la sera del 17 aprile. «Ci siamo caricati con la canzone di Phil Collins in Miami Vice. Avevamo indossato delle maschere da diavolo. Tutti tranne me: io la maschera ce l’avevo già». È una mattanza, colpiscono i genitori di Maso con spranghe e padelle, a calci: «Alla fine c’era un silenzio e un odore di sangue spaventoso».
Maso rivela anche di aver ricevuto una telefonata da papa Francesco a cui aveva scritto per chiedere perdono a Dio: «Non ci potevo credere. Mi ha anche chiesto di pregare per lui. Lui, il Papa, che chiedeva a me di pregare per lui. Io, che sono l’ultimo, il maledetto, l’assassino, il mostro».