Il Messaggero, 10 ottobre 2019
Le confraternite del cibo
Io – non so voi – sono stato intronato (ad honorem) già tre o quattro volte, bardato una prima volta con un tabarro nero con l’interno color rosa porcello; giallo canarino in un’altra occasione; addirittura con tanto di coltellaccio a guisa di spada un’altra volta ancora. Sono stato ammesso con tutti gli onori del caso in ristrettissimi consessi dai riti misteriosi, però sicuramente meno segreti di quelli delle logge massoniche. Sembrava di trovarsi sul set di Benvenuti al Sud quando Claudio Bisio nelle nebbie della Pianura Padana fa scoprire al Gran Maestro del Gorgonzola (interpretato dal bravissimo Teco Celio) la Zizzona di Battipaglia, succosa mozzarella da cinque chili.
PASSIONEAnch’io, armato non di compasso e matita ma di forchetta e cucchiaio, ho condiviso il desco con professionisti e nobili, nullafacenti e docenti universitari, gente anziana e, a sorpresa, tanti giovani. Persone diversissime tra loro, accomunate da una passione smodata per il cibo e la sua storia, che fanno vivere la tradizione delle confraternite. Nate originariamente come società di mutuo soccorso – dal latino cum (con) e frater (fratello) oggi il loro benemerito impegno è quello di trasmettere sapere antichi legati all’enogastronomia e alla cultura e tradizioni dei territori.
Marco Porzio ingegnere, nella vita di tutti i giorni a capo di una fonderia di metalli è il presidente della Fice, la federazione di confraternite, arcisodalizi e accademie dei ghiottoni. «Contrariamente alle leggi della vita sociale, che venivano imposte in famiglia, parrocchia o comunità, le confraternite racconta – hanno storicamente dei legami liberi, suscettibili di rispondere, nelle diverse epoche, alle esigenze e alle inquietudini specifiche dei fedeli. Sono delle famiglie artificiali dove tutti i membri sono uniti da una volontaria fraternità». Oggi i fedeli praticano la religione senza essere blasfemi, chiamiamola mission, all’americana del buon cibo. Il loro credo sono le ricette codificate del Salam d’la duja e del fidighin novarese, del culatello supremo e dei bigoi al torcio veneti. Sono 53 le associazione censite nel primo atlante Qui starete benissimo che arriva oggi in libreria (Nomos edizioni, 19,90 euro, 191 pagine) con la storia di ognuna e la ricetta del piatto tipico (sempre molto popolare, non certo da chef stellati). Un viaggio da Nord a Sud che esalta in Veneto i bigoli con le sarde e la sopa coada (piccione), in Puglia i pampascioni e non solo le orecchiette, le frittole in Calabria, lo stoccafisso ad Ancona e via via godendo di gnocchi fritti e bolliti misti, di formaggi puzzolenti e introvabili altre squisitezze. «Un mondo spiega il curatore Edoardo Toia che nell’immaginario comune è fatto di mantelli, riti e ricette segrete ma che oltre alla suggestiva coreografia ha una solidissima tradizione di antica conoscenza del territorio e della pratica culinaria». È un piccolo scrigno gastronomico di ingredienti e specialità da tutta Italia.
RITUALI«Tra mantelli, paludamenti, riti di intronizzazione, giuramenti di fedeltà e prove da superare per diventare confratello, ogni confraternita racconta Toia – ha fatto proprie alcune regole stilando degli statuti, depositato dal notaio le ricette originali, mantenendole vive».
In verità la tavola dei comandamenti (più di dieci) non è neanche immutabile. «Abbiamo il dovere scrive in introduzione il cuoco televisivo de La Prova del cuoco Sergio Barzetti – di trasmettere ricordi e tradizioni, senza dimenticarci l’apertura al nuovo, al diverso, all’altro che giunge, atteso o inatteso, e che può sorprenderci con nuovi sapori». Le contaminazioni sono un valore aggiunto nell’arte culinaria. «Sono convinto scrive Toia – che la tradizione vada continuamente aggiornata, perché se la si interpreta letteralmente e in modo intransigente non si riuscirà a trasmetterla». Del resto «solo chi conosce bene le proprie origini è pronto a girare il mondo con la mente e il cuore aperti verso usanze e culture diverse».
LO SPACCATOLa guida ricettario e storia dei sodalizi ci dà uno spaccato per tanti versi inedito del Paese, ricchissimo anche di tanta sana autoironia. Tra storia e leggenda si scoprono così le origini di alcune confraternite durante le esplorazioni dei nuovi continenti o che molti manicaretti sono cucinati oggi proprio come cento e cento anni fa. Ogni associazione è diretta da un gran maestro, un gran priore o un gran casaro; i confratelli sono intronizzati con una cerimonia solenne quando giurano fedeltà alle tradizioni. Alla Confraternita del Gorgonzola di Cameri la frase di rito è: «sii saggio come questo sale, candido come questo latte, equilibrato come questo gorgonzola». Alla Venerabile Confraternita di Vicenza ci si impegna a «difendere e diffondere in Italia e nel mondo l’antica ricetta del Bacalà alla Vicentina». L’attrice Luciana Littizzetto alla domanda del Gran Maestro della Confraternita della Nocciola di Langa ha prontamente risposto: «Sì lo voglio, dico no a satana, dico sì alla nocciola», salvo subito aggiungere di sentirsi come «quando ho fatto la Cresima». Ancora in Piemonte, a Chivasso, non è chiaro se il giuramento è un impegnativo obiettivo da assecondare o una pia speranza. «Quelli che mangeranno uova con le nocciole, rallegreranno sempre le donne», recita l’aspirante confratello dël Sanbajòn (lo zabaione, appunto).