il Fatto Quotidiano, 9 ottobre 2019
Afghanistan, l’acqua calda 18 anni dopo
Su Repubblica del 3.10 ho letto, per la prima volta in Italia, un esauriente reportage su Afghanistan firmato da Giampaolo Cadalanu (mi spiace per Marco, ma delle buone cose le fanno anche loro soprattutto da quando alla direzione c’è Carlo Verdelli). Il reportage si divide in due parti: un’analisi dell’inviato del Guardian Jason Burke e un’intervista a uno dei più importanti comandanti talebani Qadir Hekmat. Burke, che resta ovviamente filo-occidentale, afferma: “Gli attacchi dell’11 settembre si fecero all’insaputa dei leader talebani dell’epoca”. Questo io lo scrissi fin dai primi giorni e l’ho riportato poi nel mio libro Il Mullah Omar del 2011, di cui alcune “anime belle”, una giornalista di Libero e una deputata pdl, noti campioni della libertà d’informazione, chiesero il sequestro.
Il comandante talebano Qadir sostiene in sostanza che il governo del Mullah Omar non impediva alle donne di studiare. Un uomo di parte, si dirà. Però sarebbe bastato leggere all’epoca i documenti ufficiali del governo talebano per rendersi conto che Qadir dice la verità. È scritto infatti in un decreto del novembre 1996: “Nel caso che sia necessario che le donne escano di casa per scopi di istruzione, esigenze sociali o servizi sociali devono coprirsi concordemente alle norme della Sharia islamica”. Spiega Qadir a Cadalanu: “Mi dica, in Italia una donna può girare nuda senza violare la legge? Non credo, sarebbe subito arrestata. Ecco, quelle sono le vostre regole, la nostra è la Sharia, e prevede che le donne portino l’hijab” (non il burqa, come in Occidente si è sostenuto fino all’estenuazione). E aggiunge: “L’emirato aveva grandi progetti dedicati alle donne, ma non ha fatto in tempo a svilupparli. Non è vero che siamo contrari all’istruzione femminile, basta che le scuole siano separate da quelle maschili. Nelle zone controllate da noi, le ragazze vanno a scuola regolarmente”. L’emirato aveva grandi progetti dedicati alle donne, ma non ha fatto in tempo a svilupparli. Questo stupirà e scandalizzerà tutti quelli che per diciotto anni si sono bevuti la propaganda occidentale. La verità è che i Talebani, ai tempi del governo del Mullah Omar, non poterono sviluppare il loro programma sull’istruzione femminile perché impegnati in una lotta logorante da Massud che non accettava di esserne stato sconfitto. Avevano quindi altre priorità. E si può capirli. I Talebani non solo non sono legati all’Isis ma lo combattono dal 2015 quando gli uomini di Al Baghdadi hanno cominciato a penetrare in Afghanistan. Qualcuno ricorderà, forse, la “lettera aperta” del 2015, che noi soli abbiamo pubblicato sul Fatto, di Omar ad Al Baghdadi in cui gli intimava di non entrare in Afghanistan. Questa lotta all’Isis sta nei fatti e non avrebbe nemmeno bisogno di chiarimenti. Comunque, se proprio si vuole, la si ricava anche incrociando le dichiarazioni del giornalista del Guardian e del comandante talebano. Dice Burke: “I Talebani non hanno mai cercato di espandere i confini dell’Afghanistan… non permetterebbero a nessun gruppo o individuo di usare l’Afghanistan come trampolino di lancio per degli attacchi internazionali”. Insomma non hanno nulla a che fare col terrorismo internazionale come si è sempre sostenuto e si continua a sostenere non solo sui media italiani ma su tutti i media occidentali. I Talebani hanno sempre concentrato i loro attacchi su obiettivi militari e politici cercando di risparmiare il più possibile i civili per la semplice ragione che è proprio sull’appoggio di buona parte della popolazione che hanno potuto sostenere una resistenza che dura da diciotto anni. Dice Qadir: “Noi non attacchiamo mai obiettivi civili, matrimoni, funerali. Americani e Isis, sì… non c’è un solo villaggio dove gli invasori non abbiano commesso crimini di guerra o ucciso innocenti”. Premesso che il reportage di Repubblica e di Cadalanu resta eccellente, non di meno suscita un moto di indignazione. È troppo facile, troppo comodo e persino ipocrita scoprire l’acqua calda dopo diciotto anni, quando ormai gli americani hanno perso la guerra (“la guerra che non si può vincere”) e Trump è deciso a ritirare le truppe perché, da buon imprenditore, ritiene inutile, a questo punto, spendere 45 miliardi di dollari l’anno. Bene. È dal 1996 che scrivo queste cose sull’Afghanistan e altre non meno gravi e occultate dalla disinformatia occidentale. Ma mai, dico mai, che i media italiani, televisione, radio, giornali abbiano sentito almeno la curiosità di interpellarmi su questa vicenda e su qualsiasi altra vicenda, mentre sui talk vedo evoluire la solita “compagnia di giro”. Sono un emarginato, nel modo subdolo e vile che si addice ai nostri tempi tanto democratici in cui non si fa che parlare di libertà proprio mentre la si nega. Scrisse Indro Montanelli nella prefazione al mio libro Il Conformista: “Gliela faranno pagare calando su di lui una coltre di silenzio: da quando i roghi non usano più, è la sorte che attende i conformisti che non si conformano”.