il Fatto Quotidiano, 9 ottobre 2019
Benzodiazepine l’oppio delle masse
Sembrava essersene definitivamente liberato. Una quotidianità scandita dall’assunzione di smodate quantità di gocce di lormetazepam, il principio attivo del Minias, un ipnotico. Quasi un rituale ossessivo. Invece G. non ha retto e si è ucciso. Per impiccarsi ha atteso che la moglie uscisse a fare la spesa. Erano passati solo pochi mesi da quando era stato dimesso dall’Unità operativa per il trattamento della dipendenza da benzodiazepine del Policlinico G.B. Rossi di Verona. L’unico centro sanitario pubblico in Italia (fino al 2017, in Europa), specializzato nella cura di chi si ritrova schiavo di megadosi di BZD, benzodiazepine in forma di compresse e gocce per dormire, o anti-ansia. “Prima di togliersi la vita era tornato da noi per ringraziarci”, ricorda lo psichiatra Fabio Lugoboni, responsabile del centro di Verona. Non c’erano stati segnali premonitori.
Il fatto è che il caso di G. non è isolato. “La correlazione tra questi farmaci, che danno dipendenza, e il suicidio è forte”, dice Lugoboni. “Ad alti dosaggi le benzodiazepine diventano prepotentemente depressogene, e quindi l’idea suicidaria assume grande rilevanza. Stiamo facendo degli studi. Non c’è interesse delle cause farmaceutiche a fare questo genere di ricerche…”. Nella storia delle persone che sviluppano dipendenza da BZD, ci sono diversi tentati suicidi. In dei casi la tragedia avviene. “È così che, valutando retroattivamente i ricoveri effettuati da noi negli ultimi due anni – racconta Lugoboni – abbiamo scoperto che quattro nostri pazienti, dopo essere stati dimessi, a distanza di tempo, si sono uccisi. Tradizionalmente, uno dei fattori con una forte correlazione con l’ideazione suicidaria è proprio l’abuso di sostanze. Ma gli effetti delle benzodiazepine sono peggiori”.
L’unità operativa “Medicina delle dipendenze”, a Verona, è un micro-reparto nell’ospedale. Secondo piano, quattro posti letto. Ci lavorano – in un silenzio avvolgente – quattro medici e nove psicologi. Da quando è nato, nel 2001, ha accolto 1.400 persone: una media di 180 ricoveri all’anno, contro una domanda, in continuo aumento, che richiederebbe uno sforzo, e una disponibilità di posti, almeno quattro volte quella attuale. Chi arriva qui è già stato risucchiato dalla spirale.
“Le persone che si rivolgono a noi, mediamente, assumono ogni giorno l’equivalente di 356 mg di Valium, l’unità di misura utilizzata per indicare la quantità di benzodiazepine. Qualcosa come 35 fiale”, spiega il dottor Lugoboni. Insonnia, ansia, forte stress emotivo. E così che si comincia. Con il Minias (il 60% dei ricoveri è per dipendenza da questo farmaco). Oppure con il Tavor (lorazepam), lo Xanax (alprazolam).
O con l’En (delorazepam). Quello che usava Marta.
In commercio in Italia sono presenti 26 principi attivi riconducibili alle benzodiazepine, con oltre 370 farmaci di specialità, inclusi i generici. Le benzodiazepine appartengono alla fascia C dei farmaci. Medicinali utilizzati per patologie di lieve entità, o considerate minori. Per questo non rimborsabili – tutti tranne il Rivotril (clonazepam) – dal Servizio sanitario nazionale. Eppure, in questa fascia, la fascia C, sono i top seller: i farmaci con obbligo di prescrizione più venduti in Italia (il consumo si è attestato a questi livelli nell’ultimo decennio). Basta una ricetta libera su carta bianca, ripetibile per 3 volte in 30 giorni. Con una spesa, secondo l’ultimo rapporto OsMed, che ha superato i 535 milioni (+ 15 milioni in un anno), su un totale di 2,9 miliardi. La chiave del successo di questi agenti farmacologici – che non sono registrati come antidepressivi, è bene ricordarlo – è da rintracciare, per il dottor Lugoboni, “non solo nella sostanziale mancanza di tossicità acuta delle BZD nel breve periodo, e nella conseguente facilità prescrittiva da parte dei medici. Dipende dal fatto che, anche in tempi brevi, le BZD possono dare dipendenza. Ecco perché il loro uso è strettamente raccomandato per tempi molto limitati (massimo 4 settimane), e solo in presenza di disturbo grave e disabilitante. Ma regna la disattenzione e la mancanza di consapevolezza degli effetti dell’uso a lungo termine. Da parte dei medici come dei pazienti stessi”.
In Italia a fare uso di benzodiazepine è il 10% della popolazione, circa 6 milioni di persone. Più donne che uomini. Oltre la metà, sono consumatori cronici che assumono BZD in modo scorretto. Con dosaggi massimi, oltre le indicazioni terapeutiche consigliate, e per lunghi periodi. È c’è “chi via via scivola impercettibilmente verso dosi sempre più alte”. Parliamo del 2-7% della popolazione, spiega Lugoboni. “E capisci di essere dipendente quando, pur assumendone grandi quantità, non dormi più la notte perché il farmaco ha smesso di funzionare”.
Così hai bisogno di aumentare le dosi. Sempre di più. È accaduto a Barbara, 55 anni, impiegata, una brutta delusione sentimentale: è per questo che si avvicina al Minias. “Ho iniziato 15 anni fa, prendevo otto gocce alla sera. Sono arrivata a bere direttamente dai flaconi. Una ‘ciucciatina’, e ne facevo fuori due al giorno. Non mi rendevo conto di niente. Poi, però, quando cercavo di smettere, precipitavo in una angoscia fortissima. Avevo forti tremori, una sofferenza indicibile: erano crisi di astinenza. All’inizio il Minias me lo aveva prescritto lo psichiatra. Poi ho continuato con il medico di base. Spesso andavo da farmacisti che me lo davano senza prescrizione, o con la ricetta scaduta”. Proprio come accadeva a S., 32 anni, otto flaconi al giorno e 1.800 euro al mese, per comprarli. Con o senza la ricetta del medico, più spesso grazie a farmacie compiacenti. B., 39 anni, figlia di uno psichiatra, ne prendeva 1.800 grammi ogni giorno (180 compresse): spendeva 100 euro al giorno. Il suo farmacista era accomodante, i medici del suo entourage familiare anche. Ogni giorno aveva voglia di prendere la pastiglia un po’ prima del solito. Ogni giorno sempre di più.
Entra in scena il cosiddetto Doctor Shopping. “Noi lo chiamiamo così”, spiega Pier Luigi Bartoletti, medico di famiglia e membro del comitato centrale della federazione nazionale degli Ordini dei medici. “È il paziente che, per procurarsi la sua ‘dose’ giornaliera, fa ricorso a tutti gli escamotage possibili, arrivando persino a cambiare più volte il medico di base, pur di raggiungere lo scopo”.
“Spesso ci sono colleghi – prosegue Bartoletti – che cedono alle richieste, mentre la cautela dovrebbe essere massima, perché le benzodiazepine influiscono molto sull’attività cerebrale. Certo, ci può essere un problema di adeguata formazione professionale che può riguardare i dottori più anziani, ma non è detto siano questi ad avere la prescrizione facile…”. Se il medico si rifiuta di prescrivere, parte la caccia ai farmacisti disposti a chiudere un occhio. “Davanti a ricette scadute o già timbrate tre volte, o peggio contraffatte, il farmacista dovrebbe sempre fare partire una segnalazione al proprio ordine e all’azienda sanitaria locale – spiega Paola Minghetti, docente di legislazione e tecnica del farmaco all’Università degli studi di Milano – ma è evidente che l’attenzione non è sufficientemente elevata”.
Che ci sia poca consapevolezza dei danni provocati dalle benzodiazepine anche tra il personale sanitario lo dimostra il fatto che i pazienti del centro veneto sono, nel 13% dei casi, proprio medici e infermieri: iniziano ad assumere BZD per sostenere il forte stress dovuto a turni di lavoro massacranti, e poi si ritrovano pure loro imbrigliati.
A sviluppare dipendenza sono uomini e donne. Età media: 43-44 anni. Uno su due non ha storie di vita complesse alle spalle, non ha disturbi mentali, non ha avuto dipendenze da droghe o alcolici precedenti. E, nel 65% dei casi, ha un livello di istruzione alto o medio alto. “Per tutti la qualità della vita precipita”, spiega Lugoboni. “Si sprofonda nella disistima, nel senso di schiavitù. Si ha la sensazione di non avere più il controllo sulla propria esistenza. Si soffre di insonnia. Le capacità cognitive intanto diminuiscono, e aumentano gli incidenti”.
Barbara è una donna ancora spezzata, nonostante il percorso terapeutico intrapreso per uscire dalla dipendenza. “Le benzo sono farmaci maledetti. All’inizio pensi di stare bene, aumenti il dosaggio. Ma quando cominci a superare le dosi terapeutiche diventa difficilissimo smettere. Vivevo in una dimensione distante dalla realtà, distaccata da tutto e da tutti. Le emozioni ovattate, non provavo più gioie, persa ogni relazione. Il Minias era il mio unico pensiero fisso. Ne avevo sempre una scorta in casa. Soffrivo, e facevo soffrire la mia famiglia. Ora vedo un po’ di luce”.
La vita cambia in fretta. La vita cambia in un istante. Ti siedi a tavola e la tua vita non è più la stessa.
3 – Continua