Il Sole 24 Ore, 9 ottobre 2019
In Europa sale la marea dei bond sotto zero
Scadenza residua fra i due e i tre anni, emesso da una banca francese. Questo il tipico bond denominato in euro a rendimenti negativi: un identikit che rischia però di essere riduttivo per spiegare un fenomeno ben più ampio e diffuso fra Paesi, settori e anche come durata dei titoli. Secondo le stime di Goldman Sachs raggiunge infatti quasi i 500 miliardi di euro l’ammontare nominale complessivo di obbligazioni societarie investment grade (con merito di credito più elevato e pari almeno alla «Tripla B») che trattano a tassi sottozero, un valore impensabile soltanto all’inizio di quest’anno.
Un paradosso simile, determinato dalle politiche ultra-espansive dalle Banche centrali, è al tempo stesso croce e delizia per i mercati: delizia di sicuro per le società, che riescono a indebitarsi a tassi risibili, se non addirittura negativi; croce al contrario per tutti quegli investitori, e in particolare per assicurazioni e fondi pensione, che faticano a trovare rendimenti decenti anche spostando l’attenzione su strumenti con durata più lunga.
Se infatti le scadenze più brevi (fino a tre anni) fanno la parte del leone, sul mercato girano anche 28 miliardi di corporate a tassi negativi con maturità superiori ai 5 anni: una sorpresa soltanto relativa, perché quando si dà un’occhiata ai bond sovrani Paesi come Germania e Paesi Bassi viaggiano sottozero fino ai 30 anni e la Francia fino ai 15 anni. E mentre a livello settoriale il peso più rilevante è appunto dei finanziari con 198 dei 489 miliardi complessivi, davanti a beni di consumo (72 miliardi), utility (49 miliardi) e tlc (34 miliardi), nell’analisi di Goldman Sachs appare ancora più interessante la suddivisione geografica.
In questo caso sono appunto gli emittenti francesi a prevalere con 111 miliardi, quasi il doppio rispetto ai tedeschi (57 miliardi), anche perché quello transalpino è il mercato dei bond societari più sviluppato e lo conferma il fatto che su di esso si è finora concentrata la maggior parte degli acquisti del Corporate sector purchase programme che la Bce si appresta a riavviare a novembre. A scambiare a tassi negativi sono anche bond in euro di società Usa (90 miliardi), scandinave (52 miliardi) e britanniche (37 miliardi), mentre tornando all’interno dei confini euro le italiane si devono «accontentare» di 17 miliardi: non poco se si pensa alla penalizzazione inflitta dai mercati al nostro Paese.
Il risvolto della medaglia dell’inondazione di liquidità che ha raggiunto anche società di qualità inferiore sta nell’aumento dei rischi per gli investitori, a maggior ragione in un contesto economico in deterioramento. «Il fatto che la Bce abbia garantito tassi bassi per un lungo periodo – osserva infatti Paul Watters di S&P Global Ratings – può incoraggiare un utilizzo più aggressivo della leva finanziaria in modo da sfruttare la disponibilità di finanziamenti a basso prezzo e questo aumenta il rischio di insolvenza nel momento di inversione del ciclo».
L’agenzia di rating prevede che il tasso di default possa nei prossimi 12 mesi salire nell’Eurozona dall’attuale 1,96% fino al 2,68% nonostante il costo limitato del debito e l’allungamento delle scadenze, ma si riferisce agli emittenti high yield, quelli con merito creditizio inferiore. Per i quasi 500 miliardi di titoli investment grade il pericolo non è così immediato, tuttavia sempre S&P nota come anche in questo caso le prospettive stanno peggiorando: il saldo fra gli emittenti corporate con outlook positivo e quelli con outlook negativo pende ora a favore di questi ultimi per il 10% come non accadeva dall’agosto 2013 (era -6,1% a fine 2018), mentre per i finanziari il bilancio, prima positivo per il 9%, è adesso in parità. Non si tratta certo di un allarme, per il momento, ma è comunque l’ennesimo sintomo che va a sommarsi ai tanti che i mercati finanziari presentano in questo momento.