La Stampa, 9 ottobre 2019
L’ecuador sposta la capitale
Se la capitale è sotto assedio, il governo la sposta in un’altra città. Il presidente dell’Ecuador Lenín Moreno, in maniera piuttosto plateale, ha abbandonato Quito per rifugiarsi con i vertici del governo 400 chilometri più a Sud, a Guayaquil, la seconda città del Paee, dove è comparso in una conferenza stampa esplosiva. Il motivo del trasloco è l’assedio, arrivato ormai al sesto giorno, al quale è sottoposto Moreno. Le manifestazioni sono cominciate come protesta per l’aumento delle imposte sul carburante, ma rapidamente hanno assunto significati molto più vasti. Tanto che Moreno, parlando da Guayaquil, ha denunciato «un colpo di Stato in atto», puntando il dito contro i presunti responsabili della sommossa, il suo predecessore Rafael Correa e presidente del Venezuela Nicolas Maduro. «Il satrapo chavista ha attivato il suo piano di destabilizzazione insieme a Correa», ha affermato Moreno.
L’arrivo degli indigeni
Il salto di qualità delle manifestazioni c’è stato lunedì scorso con l’avvicinarsi alla capitale della marcia delle popolazioni indigene, circa 20.000 persone che stanno attraversando le impervie strade andine per raggiungere Quito e costringere Correa a cancellare le misure economiche più contestate, a cominciare da quella sulla benzina. L’arrivo dei rappresentanti delle popolazioni indigene, sommato alla presenza ormai praticamente stabile degli altri manifestanti, ha fatto salire la tensione. La polizia e i militari sono intervenuti per liberare le strade bloccate dalla folla.
La situazione è delicata, il ministro della Difesa Oswaldo Jarrín nei giorni scorsi aveva invitato i manifestanti a «non sfidare l’esercito». Parole che hanno scatenato reazioni durissime: «Il governo ha dichiarato guerra al popolo», ha il leader del Fronte unitario dei lavoratori Nelson Erazo. Per oggi è stato indetto uno sciopero generale.
Il coinvolgimento di Maduro da parte di Lenín Moreno fa intendere che il conflitto viene seguito con attenzione in tutto il continente. Tanto che ieri è intervenuto il governo argentino, guidato da un traballante Macri, che ha garantito il fermo sostegno «al mantenimento dello stato di diritto e dell’ordine democratico, con la leadership del presidente Lenín Moreno». Di segno opposto le parole del leader boliviano che ha accusato «la dottrina del Fondo monetario».