Corriere della Sera, 9 ottobre 2019
Non chiamateli «caregiver»
«No, caregiver no!» Dopo l’ennesimo appello in questi giorni da parte di tante associazioni alle forze politiche perché attuino l’attesissima legge a tutela delle persone che a titolo gratuito, nella vita quotidiana, si prendono cura di parenti non autosufficienti «con problematiche dovute ad anzianità, disabilità o eventuali patologie», vale la pena di rilanciare la richiesta dell’Accademia della Crusca: fatevi capire! Il «Comitato Incipit» della più antica istituzione linguistica del mondo, che si occupa di «esaminare e valutare neologismi e forestierismi» via via introdotti con prepotenza dentro la nostra lingua (sempre «prima gli italiani», mai «prima l’italiano») ha già scritto un anno e mezzo fa come la pensa: «Stupisce che, per ottenere tale riconoscimento, questa attività abbia dovuto assumere la denominazione inglese “caregiver”, seguita dall’aggettivo italiano “familiare”». Molto meglio, ovvio, «familiare assistente». Macché. Parole al vento. Come le proteste per stepchild adoption, spending review, jobs act, voluntary disclosure, flat tax…» Diceva Tullio De Mauro che certo, non tutto può esser semplificato: «Dobbiamo essere rispettosi delle terminologie tecniche» e «i microbiologi non sono obbligati a farsi capire da tutti» ma «l’avviso sulle carrozze ferroviarie no, quello deve essere scritto in modo che lo capiscano davvero tutti». «Ma i nuovi legislatori vogliono esser capiti?», ammicca Michele Cortelazzo, che del Comitato Incipit fa parte, «Se volevano un po’ mascherare il significato di una scelta, i politici d’una volta usavano una lingua contorta e astratta, quelli di oggi (magari non lo parlano neppure) abusano dell’inglese. Diciamo che è il nuovo politichese». Più duro il presidente onorario dell’Accademia della Crusca, Francesco Sabatini: «Non si tratta solo di trascuratezza e ignoranza. Purtroppo c’è di più. C’è la volontà di separare le élites dalla base. Che senso ha usare la parola “caregiver” invece che “assistente familiare”? O “revenge porn” invece di “porno vendetta”?» E guai a parlare di apertura verso il mondo: «Al contrario, qui si tratta di provincialismo. Ignoranza. Elitarismo. Vanità. E desiderio di dominio: io parlo una lingua che tu non sai parlare. E più si fa strada il populismo, meno si parla una lingua che le persone comuni possono capire». A farla corta: troppo spesso è una scelta da imbonitori.