Corriere della Sera, 29 settembre 2019
Su "Il signore delle maschere" di Patrick Fogli (Mondadori)
Caronte è un killer che cambia in continuazione il proprio aspetto e l’identità. Lo chiamano così perché accanto alle sue vittime - un papa, un traditore, per citarne solo due - lascia un’antica moneta romana, per pagare il traghettatore delle anime morte. Arianna, invece, è una sigla con cui Laura (e altri) aiutano chi vuole fuggire da vecchie vite a ricostruirsi altre personalità. Sono i protagonisti di Il signore delle maschere, Mondadori (pp. 348, euro 19), l’ultimo thriller dello scrittore bolognese Patrick Fogli, un romanzo ad altissima tensione, dalle cui pagine non riesci a staccarti. Sarà in libreria martedì 1 ottobre e il 9 verrà presentato alla Feltrinelli di Porta Ravegnana dallo scrittore, premio Scerbanenco 2018, autore di romanzi che parlano di olocausto e memoria, di strage della stazione di Bologna e di quelle di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, con molte trame di pura fiction ma sempre impastate di presente.
Fogli, chi sono questi due personaggi?
«Una delle domande che c’è dietro il libro è proprio chi sono loro due. Un uomo che cambia in continuazione identità, ne ha una vera? E cosa succede quando arrivi ad un punto dell’esistenza in cui tutto muta? Caronte all’inizio compie una vendetta personale, sapendo che la sua vita perderà di significato».
E Laura?
«Anche per Laura tutto si sgretolerà, quando scoprirà che facendo cambiare connotati e modi di vivere alle persone invece di salvare gente ha creato un mostro come Caronte, e quando la persona che può incarnare per lei qualcosa di simile a un rapporto sentimentale, anche se sviluppato principalmente per mail, Niko, muore…».
Si è riletto Pirandello, con questi essere uno, centomila e nessuno?
«L’avevo letto un tempo. Ma credo che il tema dell’identità oggi sia molto quotidiano. Viviamo in un’epoca non egoistica ma egocentrica. L’Io diventa una nazione che ha per territorio un individuo solo. E poi oggi siamo ancora più spaccati».
In quale senso?
«Siamo alcune cose nel mondo reale e altre in quello virtuale. Sarebbe stato bello sentire il parere di Pirandello al proposito... Borges ci aiuta, quando scrive: “Qualunque destino, per lungo e complicato che sia, consta in realtà d’un solo momento: il momento in cui l’uomo sa per sempre chi è».
A proposito di citazioni, il titolo ricorda Il signore delle mosche di William Golding, la storia della regressione selvaggia, tribale, diabolica di un gruppo di ragazzini naufragati su un’isola.
«Credo che questa sia una storia crudele come quella. Caronte è un uomo spietato che muove altri esseri umani senza ritegno. E al tempo stesso è uno che senza gli altri non può vivere. È persona spezzata: in una scena guarda alla televisione il momento in cui nel film Batman Begins di Christopher Nolan il protagonista, bambino, perde i genitori e rimane solo. È la scena che definisce Caronte senza identità, senza radici».
Nel Signore delle mosche si evoca anche il diavolo.
«E il nostro killer è un diavolo: non a caso si chiama Caronte, come il traghettatore dei morti delle mitologie greca, etrusca, romana. Demoniaco è uno che è insieme tutti e nessuno, che si serve degli altri per i propri scopi, li possiede».
A un certo punto nel romanzo arriva il terrorismo …
«Il terrorismo è la cifra della paura oggi, il modo vero per raccontare le nostre ansie e inquietare il lettore. Non credo più ai serial killer: se vuoi scrivere una storia ad alta tensione, dopo Hannibal Lecter, se vuoi fare un thriller, devi lavorare sulle paure vive, generali».
A proposito: come fa a non far staccare il lettore dalle sue pagine e a riaprire l’attenzione sempre, anche quando sembra di essere arrivati a un punto di soluzione?
«Il segreto è rilanciare. Far finta di chiudere una situazione e riaprire. Subito. Come un prestigiatore: ti mostra una mano per farti credere che non ci sia trucco, e ti inganna con l’altra. Cerco di illudere chi legge che stia capendo tutto, e di rimettere ogni cosa in gioco».
I titoli dei capitoli?
«“Habemus papam”, “Inseparabili”, “Le vite degli altri”, “Il cielo sopra Berlino”, “La 25esima ora”: sì, sono proprio titoli di film».
Cosa vuol dire per lei scrivere un noir? Intrattenere? Far evadere? Un modo per raccontare il mondo?
«Può essere tutto quello che ha elencato. Per me questo romanzo è una ricerca sull’identità, su cosa siamo, su cosa mi definisce. Laura, che trasforma le identità degli altri, scopre che alcuni davvero hanno cambiato vita, altri, sotto i nuovi nomi, hanno visto riemergere la vecchia personalità».
Come nascono le sue storie?
«Da domande. Poi arriva un’idea. Magari all’inizio inconsapevole: la capisco dopo un po’. Io sono Alfa era un ragionamento sulla paura; In A chi appartiene la notte partivo da una domanda dell’influenza della verità sulla nostra vita. Sono questioni che portano a collegamenti, in quella che è la mia ossessione di scrittore, narrare la contemporaneità, le crepe nel muro del mondo in cui vivo».
Lei scrive romanzi e fa l’ingegnere elettronico. Si ha come l’impressione che viva davanti allo schermo di un computer.
«Ed è così. Scendo poco per strada. Pochissimo per le strade di Bologna, che ho abbandonato per l’Appennino reggiano».
Come mai?
«La città non è più il mio ambiente naturale, e l’ho lasciata con grande gioia. Vivo meglio in un luogo più isolato».