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 2019  ottobre 07 Lunedì calendario

Michael Stipe e la fotografia

È il secondo ricordo della mia vita. Eccomi: sono lì, ho due anni, mi è venuta la scarlattina, ma devo mettermi in posa per la foto di Natale. Sembra un’allucinazione, a pensarci adesso. Il fotografo mi chiede di sorridere, ma mi sento totalmente a disagio. Questo è il mio primo incontro con la fotografia. Non esattamente un idillio. Le cose cambiano quando, appena adolescente, ricevo in prestito da mio padre la macchina fotografica che lui ha comprato in Vietnam.

Sono un pessimo disegnatore e un pittore anche peggiore. La pratica dell’arte per me passa attraverso la fotografia. Da quando avevo quattordici anni, scatto foto in continuazione. Non è un hobby, è come respirare. È successo quasi contestualmente alla scoperta del disco Horses di Patti Smith: da allora immagini e musica sono andate sempre insieme. Prima di essere un musicista, ho studiato fotografia. La seconda mi viene più facile della prima. Anche se i risultati iniziali sono stato tremendi: alcuni li conservo tutt’ora, altri sono andati perduti nella casa di Athens, in Georgia, dopo un allagamento.

I modelli con il tempo sono cambiati e si sono evoluti: analogico e digitale convivono, in ogni caso, ovunque vada, porto con me una macchina leggera e facile da estrarre all’occorrenza. Non ho mai tenuto un diario o compilato un’agenda. Ho bisogno di visualizzare le cose, prima di dirle o di scriverle. Le fotografie sono il promemoria degli eventi e delle persone della mia vita. Ma non solo: fotografare è un atto di conoscenza, anche se oggi si consuma velocemente senza meditare, è un gesto molto più intimo di quello che si creda, ti permette di capire meglio il soggetto che hai davanti.

Realizzo soprattutto ritratti, ma, se mi trovo con i miei amici più stretti – in particolare se si tratta di figure pubbliche – preferisco non interrompere un momento privato della giornata per fare una fotografia. So quanto sia importante assaporare gli istanti lontano dai riflettori. Allora mi concentro sui particolari. Immortalare dettagli come mani e piedi è meno invasivo, non spezza l’attimo che viviamo. Kurt Cobain non era a suo agio davanti all’obiettivo. Non ho mai inquadrato la sua faccia: nel giardino della mia casa di Athens, nel 1993, scattai solo la foto delle sue mani. L’ho tenuta segreta per tanto tempo, mostrandola esclusivamente a Courtney Love e a sua figlia Frances Bean, prima di pubblicarla venticinque anni dopo nel mio primo libro, Volume 1 , che è una sorta di autobiografia intima per immagini. Davanti al mio mito e maestro, lo scrittore William Burroughs, nel giardino di casa sua, quasi non avevo il coraggio di scattare. E dalle foto che gli ho fatto traspare tutto il mio timore reverenziale.

La fotografia pervade il mio scenario domestico. Anche il mio compagno, Thomas Dozol, è un fotografo, siamo molto diversi nel nostro approccio alla ritrattistica. I nostri interessi si sovrappongono e incrociano, ma poi i punti di vista sono distanti. Avere studi separati aiuta. Ci accomuna la realizzazione ossessiva di istantanee. Per lo più non hanno a che fare con la professione. Sono appunti di esistenza.

Vorrei che le mie prossime fotografie rappresentassero l’aspetto più felice della vita. Per me sarebbe difficile catturare qualcosa di triste o malinconico. Nel mio lavoro tendo a stare lontano da questo tipo di immagini, anche se le ammiro nell’opera di altri, come in quella di artiste come Katy Grannan, Sally Mann, Diane Arbus. Se potessi viaggiare indietro nel tempo, mi piacerebbe trovarmi accanto a un’altra fotografa: Claude Cahun mentre realizzava i suoi autoritratti. La mia ispirazione parte da figure come questa.

Viviamo in un momento di generale transizione: politica, economica, sociale, tecnologica. Il nostro stesso paesaggio emotivo sta cambiando rapidamente e il compito di chi fa arte è di immaginare il futuro, rendere più vicini gli scenari di domani, mettere ordine nel caos. Siamo a metà tra quello che è stato e quello che sarà. Dobbiamo capire come fare tesoro del nostro passato per andare avanti. Anche attraverso le immagini.